“Parto Naturale” il nuovo disco dei Mojoshine vuole essere una risposta immunitaria all’indifferenza. Il titolo ritorna allo sguardo primitivo che abita in noi, quando nel corridoio tra viscere e luce, cominciamo a vibrare e reagire ai primi suoni e ai primi odori della vita, ritornando a quell’origine per concederci una nuova opportunità.
La Natura, con la sua vasta pluralità, osserva pazientemente come ingordamente ci nutriamo ancora di antropocentrismo. Sconforta il pensiero che la ragione possa generare odio, prevaricazione, morte, disagio, ghettizzazione e smanie di potere nelle sue vesti più disparate. Provando a ripartire dal più lontano dei nostri ricordi di questa vita, immaginiamo la possibilità che si possa correggere il tiro per uscirne più forti, incorruttibili, stabilmente empatici e fieramente leali.
A che punto delle vostre vite avete sentito il bisogno di esprimere la vostra esperienza attraverso la musica?
PAT: intorno ai 12 anni, qualcosa dentro sicuramente o si è rotto o si è svegliato. Per indole, per insicurezza, ho sempre osservato tutto attentamente attorno a me e questo tutto ha cominciato a chiedermi di essere tradotto, in qualche modo. La musica mi ha detto di entrare e di parlarne.
Quali sono i vostri primi ricordi legati al mondo della musica?
PAT: ho una foto in testa di me a 5/6 anni, seduto con le spalle appoggiate alla cassa dello stereo di casa ad ascoltare Yellow Submarine. I Beatles ancora mi sconvolgono e per fortuna lo fecero anche allora.
Parlando del vostro ultimo album, esiste un filo conduttore che unisce le diverse tracce nella tracklist?
PAT: non necessariamente, anche se comunque l’individuo, come essere umano, è al centro e alla gogna in tutto il nostro lavoro.
Qual è il messaggio che avete cercato di trasmettere attraverso questo lavoro?
PAT: penso di sostegno e di stimolo a correggere la mira, se ci si accorge che si sta perseverando male.
C’è una canzone in particolare a cui siete profondamente legati o che ha richiesto un processo emotivo più complesso durante la sua creazione?
PAT: “Tutto il resto è oscenità” è un pasto caldo per me. Allora in formazione c’era Danilo alla chitarra, amico sincero e enorme musicista (eravamo 3 chitarre al tempo!!!) che portò questo giro…schietto, morboso, inquietante…e che mi ha suggerito di guardarmi dentro allo stesso modo, a fondo. Ne avevo bisogno, avevo bisogno che quei pensieri uscissero dalla mia testa…e così è stato. Avevo bisogno di camminare tra i miei resti, come ho scritto nel testo, osservarli ed andare avanti con quello che avevo e che ero.
Nel vostro percorso artistico, quanto considerate fondamentale la ricerca e la sperimentazione di nuove sonorità? Come questa continua esplorazione impatta il vostro approccio al processo creativo?
PAT: Siamo apertissimi alla ricerca e a tutto ciò che possa essere avvicinato al concetto di evoluzione senza mai confonderlo con il concetto di allontanamento da ciò che siamo. Diamo comunque coraggio a nostri vari noi. (Ahahha)
Ci sono novità che desiderate condividere in anteprima con i nostri lettori riguardo ai vostri prossimi progetti?
PAT: Speriamo di abbracciarvi uno ad uno ai nostri live!