La casa sull’albero, non sempre è solo un sogno infantile, può diventare una vera e propria opportunità ospitale.

di Natalia Parisella

Pensate quanto più comodo sarebbe stato “Cosimo Piovasco di Rondó”.  Il settecentesco giovane, leggero ma profondo protagonista de “Il Barone Rampante” [I. Calvino, 1957]: se, salito su un albero dopo un dissidio col padre e mai più ridisceso, anziché essere appollaiato sui rami avesse avuto a disposizione una “casa sull’albero”.

Sogno bambino, forse di tutti noi, luogo riservato di giochi, rifugio, fuga dal mondo e punto d’osservazione con altri occhi e da altre “altezze”, spazio di pensiero…di sogni, appunto. “Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno.”  La casa sull’albero, che coniuga simbolicamente slancio vitale, forza, sicurezza, spazio ancestrale che diventa eco e contenitore dei valori di intimità custoditi nel nostro mondo interiore.
Il ponte tra la Terra e il Cielo.

Questa piacevolezza, questa ridente positività, hanno ispirato l’intitolazione di scritti surreali ed onirici, come il romanzo omonimo per bambini di Bianca Pitzorno [1977]: una storia fantastica di vita ed avventure su un albero di due amiche, l’adulta Bianca e la bambina Aglaia, e dei loro animali.
E poi di strutture ludiche, culturali; di manuali per costruirne faidate, con i progetti, le varie fasi e persino le indicazioni sui procedimenti urbanistici (un esempio qui) di prefabbricati in legno e/o altri materiali, anche di design. Vagando sul web si scopre un mondo, al riguardo!

Molto interessanti anche le tante strutture ricettive disseminate in tutta Italia: dal semplice agriturismo laziale con vista dalla casa sull’albero alle sue coltivazioni, a vere e proprie suite lussuose lombarde, con panorami prestigiosi e dotate di tutti i comfort!

Suggestivo ricordo

Ma, la più straordinaria nel ricordo rimane per me una “capanna sull’albero” in legno scuro. Devo risalire a oltre 25 anni fa. Ero all’isola di Koh Samet, Thailandia, allora parco naturale semi-selvaggio. Ci si approdava buttandosi in mare da uno sgangherato barcone, nell’acqua alta un metro. Era una sorta di minuscolo “villaggio sopraelevato”, senz’acqua corrente, senza elettricità, senza nulla di ciò cui siamo modernamente abituati. Ci si viveva in costume da bagno e pareo, a piedi nudi, mangiando frugalmente ciò che qualche pescatore locale portava la sera, condiviso sulla spiaggia. Immersi completamente nella natura.

Nel ritmo di essa e coi suoi tempi, coi suoi suoni, coi suoi silenzi. Si sentiva battere la VITA.
E, placati, ci si rifugiava a riposare nella “casa sull’albero” tra gli alberi, con negli occhi ancora il fuoco del sole, magnificamente tuffato in mare.