Utopia e libertà i cardini dell’arte di Roberta Morzetti, scultrice

di Ester Campese

Abbiamo incontrato per Seven News Italia la scultrice Roberta Morzetti. Artista dal corposo curriculum e tante eccellenti esperienze. Formatasi all’Accademia di Belle Arti “Lorenzo da Viterbo” (ABAV), consegue il diploma accademico nel 2005. Lavora prima nel mondo della moda, ideando linee di abbigliamento con materiali riciclati (Leccaletichetta, Cementarmato, Aporie). Diviene successivamente assistente ai costumi di Andrea Viotti, e per diverse volte lavora per la compagnia di Gabriele Lavia (“Le Nozze di Figaro”, andato in scena all’Eliseo; “Misura per Misura”, al Teatro Argentina). Morzetti lavora anche per Laura Costantini (per i musical “A un passo dal sogno”, e “Portamitanterose.it” al Brancaccio. Non mancano nemmeno inclusioni nel mondo della settima arte e lavora per il film “Non c’è due senza te”, regia di Massimo Cappelli e tra le altre anche nel corto “Anni 30”, regia di Luciano Melchionna. Si dedica infine alla scultura realizzandole a partire dal 2012 in dimensioni molto grandi, spesso eseguendo calchi, poi rielaborati, direttamente sul proprio corpo.

Scopriamo di più su questa straordinari artista attraverso la nostra intervista. Benvenuta Roberta, può raccontarci i suoi primi passi nel mondo della scultura?

I miei primi passi nel mondo della Scultura sono una conseguenza naturale del mio linguaggio artistico antecedente. Il processo di trasformazione dalla moda, e quindi dal costume teatrale, è stato naturale poiché dettato da un’urgenza. Non bastavano più stoffe, ricami, mix di epoche storiche con lo Street style per raccontare il mio mondo. Avevo la necessità, come ora, di rendere tangibili, fisiche le mie visioni. Così ho iniziato a studiare, a manipolare, ad assemblare ed incendiari diversi materiali per riuscire a liberare le mie visioni in sculture, che per me sono come delle figlie.

Che cosa è per lei l’ispirazione?

L’ispirazione è un dono, una liberazione indescrivibile. È una sintesi meravigliosa che arriva dopo un periodo abbastanza saturo e tormentato di sollecitazioni sia interiori che esterne, scaturite dal da vicende personali oppure dal momento storico corrente e influenzate sicuramente dagli studi artistici e filosofici che io continuamente faccio.

C’è un momento creativo in cui nasce la scintilla?

Le mie sculture sono sempre delle scintille, delle sintesi, sono il risultato di stimoli di diversa natura che si sovrappongono, convivendo apparentemente nel caos. Poi all’improvviso il groviglio si scioglie… ed appare la visione.

Inizialmente nemmeno le disegnavo ed ancora oggi non ne avrei bisogno, tanto sono nitide.

È stata la mia curatrice e compagna di visioni Velia Littera, direttrice della galleria Pavart di Roma a “consigliarmi” di disegnarle e così ora esistono anche i bozzetti quindi delle ecografie delle mie sculture. Tuttavia sono sempre loro a creare il fil rouge che le unisce, Io non faccio altro che liberarle e quindi liberarmi, dato che la convivenza non sempre è semplice!

Quanto c’è della sua esperienza del mondo della moda?

In realtà rileggendo il mio lavoro, ora riesco a fare il processo inverso, ossia a capire che la matericità della scultura era già presente nei miei abiti.

Ho sempre miscelato tagli di epoche storiche del passato con lo style contemporaneo, non a caso i miei stilisti, le mie stelle polari erano e sono Jean Paul Gaultier e Alexander McQueen.

La matrice del mio lavoro attuale è sempre la stessa: attingere alla sorgente infinita dell’arte per rielaborarla con un linguaggio contemporaneo, figlio del tempo in cui vivo.

Spesso le sculture sono calchi del suo corpo, perché questa scelta?

Anche questa scelta direi che è avvenuta in maniera naturale, fluida come direbbe un mio amico.

Essendo le mie sculture dei fermo-immagine, degli scatti autentici del mio mondo interiore non posso non partire che da questo.

È l’urgenza di riuscire a comunicare realmente, di urlare silenziosamente, che ha dettato la scelta di partire dal calco di me stessa. Un Calco che poi incendio, assemblo con altri materiali per arrivare poi alla creazione finale.

Come ha scoperto i suoi materiali e quali sono le loro caratteristiche?

Ovviamente lavorando e studiando sempre, sono arrivata ad una discreta conoscenza dei materiali.

Essendo donna e creando delle sculture spesso di grandi dimensioni sono alla ricerca costante della leggerezza ed ecco che la resina epossidica, unita al tessuto quadriassale sono diventate la struttura portante delle mie sculture. Questi materiali poi riesco a gestirli ed a manipolarli, quasi sempre, con la combustione.

L’opera a cui si sente più legata e perché

Ora posso dire che sono due in assoluto le opere a cui sono più legata, Escape_20 e Pax_22.

Escape_20 è un lavoro viscerale. Un’opera iniziata con mio padre e che ho terminato senza di lui, scomparso repentinamente.  Terminarla senza lui è stata a dir poco lancinante. Lei è completamente priva di pelle poiché ho sempre pensato che l’organo più profondo fosse l’epidermide, l’unico confine fra mondo interiore ed esteriore. quindi è completamente senza difese nei confronti del mondo esterno. Alla fine ho vinto sul dolore, l’ho terminata ed ovviamente è dedicata, del resto come tutto quello che faccio, a mio padre. Ogni volta che la vedo non riesco a non piangere.

L’altra è Pax _22, la scultura che dà il nome alla mostra in corso nella chiesa di Sant’Agostino a Tuscania, curata da Velia Littera ovviamente, ed inserita come evento della Biennale di Viterbo 2002, che quest’anno ha come tema “L’arte ai confini della Bioetica”.

Per capirne il significato dobbiamo leggere il suo nome come fosse un simbolo, e qui l’etimologia ci viene in aiuto. Simbolo deriva dal greco, da simballo, mettere insieme, ed ecco che diventa il luogo per eccellenza della dualità, del conflitto.  Pax_22 è un Angelo che è sceso negli inferi per poi risalire portando con sé le ferite delle battaglie combattute, ma vinte. Lacerazioni visibili dalle sfumature che virano dal grigio al nero, ottenute esclusivamente dall’utilizzo quasi maniacale della fiamma alternata alla resina, dato che l’unico pigmento che ho utilizzato è il bianco. 

Nel suo lavoro la figurazione è importante, ma ha anche una sorta di profondo legame con il suo processo introspettivo?

Direi che è esclusivamente dal processo introspettivo che nascono le mie sculture. Il mio lavoro racconta silenziosamente il mio mondo interiore e onirico. Se non avvenisse questo processo di liberazione, il mio linguaggio perderebbe la sua potenza.

Cerca un’interazione dialogica con il fruitore attraverso le sue opere, e perché no, anche con un “gioco” di rimando e confronto?

In realtà non vorrei mai spiegare i miei lavori. Il desiderio più grande sarebbe proprio che fossero i fruitori a raccontarmi ciò che sentono dinanzi alle mie sculture e che il loro giudizio fosse vergine rispetto a qualsiasi condizionamento, soprattutto dal mio. È capitato di vedere sia uomini che donne piangere davanti ad alcuni dei miei lavori…e questo per me è il regalo più grande.

Le mie creazioni non devono rassicurare, ma scuotere qualcosa dentro…e tutte le volte che riesco in questo, anche solo per una manciata di secondi, ho vinto. Il conforto, la rassicurazione la lascio alla decorazione.

L’elemento cardine e concettuale della sua pratica artistica?

L’Utopia per eccellenza e la libertà!

Cosa le regala l’arte?

L’arte non regale niente, è uno dei lavori fra i più faticosi del mondo, è un tormento ed una liberazione costantemente altalenante. Tuttavia, nonostante questo, l’arte è la mia vita… quindi le devo tutto.

Cosa vuole regalare lei attraverso l’arte al suo osservatore?

Vorrei regalare stimoli, dubbi, emozioni, anche se destabilizzanti, ma in grado di riuscire a scuotere dall’anestesia intellettuale dei nostri giorni.

Progetti futuri?

Con Velia Littera, la mia curatrice abbiamo dei progetti abbastanza ambiziosi, alcuni in collaborazione con Alessandro Vitiello, ma con il passare del tempo sono diventata sempre più scaramantica per cui preferisco non parlarne.

Photo credits: Sabino Buzi e Mara Celani

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Di E.C.M.