Un disco davvero encomiabile, puro e di un’architettura magistrale capace di sposare il passato e di incontrare il futuro. Libero nella forma, frutto questo di grandissima maturità stilistica. Il producer internazionale Giovanni Pollastri e la cantante americana Annie Saltzman Pini si firmano oggi Out of the Blue e pubblicano per la LowCoost Records un’opera monumentale sulla vita di storiche piratesse realmente esistite. Si intitola “Pirate Queens”, dentro cui si custodiscono tracce di psichedelia folk dai toni scuri, spiritualità e ritualità evocate anche da un certo mix della voce e quel certo riverbero dei suoni. Una grande varianza di stile lungo tutto l’ascolto… un disco che merita la contemplazione e stilla la curiosità di andare oltre la normale forma canzone. E poi c’è la storia, che non è per niente una parte secondaria della faccenda…

Perché parlare di Piratesse? Da dove nasce questo concept?
(Giovanni): L’idea nasce dall’ascolto di un altro album dedicato ai pirati, intitolato “Rogue’s Gallery”, con canti del mare interpretati da Sting, Bono, Brian Ferry, Nick Cave e da alcune interpreti femminili come Robin Holcomb e Lucinda Williams, per cui mi sono chiesto se stessero interpretando ruoli di piratesse. In realtà non stavano parlando delle leggendarie “Pirate Queens”, così come venivano definite nel mondo della pirateria, quindi mi è sembrata una buona idea provare a realizzarlo, e ne ho parlato subito con Annie Saltzman, con cui avevo già lavorato negli anni Novanta a un disco realizzato a nome Street Tease.

(Annie): … e perché no? mi sono detta. È stato un modo per riportare alla luce una situazione che riguarda le donne ancora oggi. Non sto parlando solo di Iran o Iraq ma anche nella mia amata Italia, come possiamo vedere dalle cronache. Inoltre, quando ho ricevuto il messaggio da Giò, ero proprio nella “dock of the bay” vicino a Boston, ero appena scesa dai un vecchio veliere del 1800 e di fronte a me c’era un museo della pirateria. Karma huh?!

Un disco che restituisce luce anche ad una certa condizione della donna secondo voi?
(Giovanni): Durante la lavorazione del disco ci siamo resi conto che in effetti si poteva riflettere ben oltre il fascino del mondo della pirateria che il mondo cinematografico ha voluto raccontare.

(Annie): Assolutamente e come dicevo prima, è ancora un problema enorme al mondo d’oggi. Queste erano proprio donne toste che lottavano per ciò che era giusto, per le loro vite! “Fight for what’s right! Fight for your lives!”

E pensando proprio alle piratesse: che ricerca storica è stata fatta? E come?
(Annie): La ricerca è iniziata proprio in quel piccolo museo nella baia vicino a Boston, dove ho trovato un libro intitolato “Pirate Queens”. Ho proseguito nella grande library di Boston e poi, ovviamente, su Google. Ci ho messo un anno circa per studiare le varie piratesse. Le varie fonti mi hanno portato a riscontrare alcune incongruenze nelle storie riportate alla luce per cui ho dovuto unire le informazioni che corrispondevano per poi creare i testi dove ho usato anche parole dal sapore antico. Pagine e pagine di informazioni sono diventate brevi storie e testi di canzoni.

E come poi il suono ha vestito ognuna di loro? È la loro vita ad averlo ispirato oppure è vero il contrario?
(Giovanni): Ho voluto contestualizzare l’ambiente sonoro relativo alle piratesse di cui abbiamo parlato. “Anne Bonny” nacque in Irlanda e le sonorità acquistano un’anima celtica, così come si respira il Medio-Oriente in “Sayyida Al Hurra”, una pirate queen molto famosa e rispettata nel mondo arabo. Ho usato strumenti tradizionali come chitarre acustiche, contrabbasso e percussioni affiancati da suoni della natura, delle onde, delle catene e dei boccali di rum per creare ambientazioni sonore che trasportano l’ascoltatore proprio in quella dimensione in cui vorremmo portarlo. Diciamo che forse lo ‘strumento’ più importante che ho usato è stato l’immaginario del mondo piratesco che si può creare nella mente dell’ascoltatore.