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Il presupposto è chiaro: questo è un articolo complesso, lungo, faticoso e che stuzzica temi scomodi e che fa polemica. Quanti lo leggeranno? Forse trattasi del cocktail preciso per non aver lettori, ideale per passare oltre dopo aver fatto “si” con la testa al concetto sommario letto tra le righe. Oppure qualcuno, nel sentirsi piccato, troverà la sua morale facile per alzare una voce contraria a suon di retoriche politicamente corrette. Punto e a capo.
La scusa buona è incontrare da vicino Paolo Tocco, giornalista, conduttore radiofonico, scrittore, cantautore e tanto altro ancora… lo incontriamo per chiedergli esplicitamente di essere diretto, senza fronzoli estetici, anzi velenoso e diretto… la scusa è di parlarci di questo N.o.D.o. il suo nuovo progetto nato in duo con la direzione artistica e i suoni firmati dal musicista Matteo Dossena, anima e penna degli Sherpa. In rete c’è questo primo brano dal titolo “Infinite Jest” che già dal titolo la dice lunghissima: sfacciato rimando al celebre romanzo di David Foster Wallace, distopico ma assai veritiero nei suoi paradossi con cui si enfatizza il sistema sociale che droga le menti e ne annienta il potere critico. La scusa è buona, anzi ottima. Ma la verità è che dietro questo brano c’è molto da riflettere. E senza filtri lo spingiamo a farlo…

Grazie dello spazio. Mi chiedi di essere velenoso e diretto? Ok. Tanto passerò per un frustrato e presuntuoso. Infantile anche. Che è il finale più comodo direi. O magari no. Magari invece spero di dir cose che un poco facciano riflettere e inducano un confronto. N.o.D.o. porta anche la voce di Matteo Dossena che penso non si discosti molto da questa mia… ma per rispetto e serietà, se volete la sua, a lui dovrete rivolgervi.

Quindi parliamo di distopia e di nuove normalità di questa società. Siamo immersi dentro cose assurde ogni giorno…
Non facciamo nessuna scoperta ne siamo promotori di qualche nuova verità. Alti pensatori della storia (e dico ALTI) da più di 50 anni denunciano questo stato di cose che, nel tempo loro e con le tecnologie dell’epoca, in fin dei conti hanno sempre portato in scena la stessa identica storia. Ma a pensarci bene sono molto più di 50 anni… leggete di come Gurdjieff viene a raccontarci dei giornalisti di inizio secolo; o ancora quel che si celebra dentro i romanzi di Huxley a suon di allegorie fantastiche… e la lista diviene lunghissima. “Ascolta piccolo uomo” di Reich è un saggio da ingoiare ogni mattina a colazione per provare a svegliarci un poco dagli automatismi sociali che ci schiavizzano. E queste sono solo le mie piccole citazioni. Immagino cosa direbbe un uomo di cultura in merito… Dietro questo brano c’è un modo di libri, di pensieri, di vita vissuta con il mio umile senso critico che cerco di dare alle cose… ovviamente è il mio punto di vista, sicuramente discutibile e certamente privo di quella presunzione che mi fa stare al sicuro. Sempre pronto a metterlo in discussione. Ma ahimè basta poi girarsi attorno e guardare con attenzione… sto ancora aspettando il contraddittorio… e sono sempre pronto ad accoglierlo. Ecco, si farebbe un grave errore di valutazione nei miei e nei nostri confronti se pensaste il contrario.

Un brano come “Infinite Jest” non la manda certo a dire anche se usa una forma allegorica da dare in pasto all’ascoltatore. Cito testualmente: Ho visto pietre nella bocca dei guardiani… e quanti schiavi per la luce dritta in faccia…
Sono figure allegoriche molto semplici se vuoi. I guardiani sono simboli di controllo che viviamo ogni giorno, da chi opera e determina le burocrazie fino a tutti i sistemi di polizia etc… e non sempre questi guardiani possono dire quel che vorrebbero, e ne ho veduti personalmente con le “pietre in bocca”, cioè a rischio di “soffocamento” pur di restare nel posto sicuro. Perché se vuoi il concetto omertoso, mafioso, è da sempre il nostro filo conduttore: proteggere il nostro posto a suon di silenzi e favoritismi. Se vuoi è una schiavitù che non è mai morta: quanti di noi possono dire quello che pensano agli altri, ai propri colleghi, a chi deve decidere sul nostro conto? Si ok che cinguettiamo libertà, ma lo siamo davvero? È una favoletta vecchia come l’uomo questa… siamo tutti schiavi… lo sono anche io… schiavi anche e soprattutto delle apparenze, di questo dover stare sempre sulla bocca di tutti… siamo schiavi dei social, dei telefonini, siamo affamati di questa dannata “luce dritta in faccia” – tanto per citare ancora il brano. La troppa gratuita povertà che regna dentro le vetrine dei social network mi diverte sulle prime e mi fa orrore in seconda battuta… anche di quella siamo schiavi e di cuore non saprei come altro commentarla. Siamo tutti schiavi dei mezzi mediatici. E proprio per citare tutto questo, come accade in “Infinite Jest” di Wallace, nel video ho chiesto ad amici e parenti di restare immobili davanti una televisione che non trasmetteva nulla..

Nel ritornello scrivi: e non vi basterà neanche l’anima. Cioè? Un qualche rapporto col divino? Alla fine la vita terrena si risolve in una dimensione divina?
Qui entra in scena l’allegoria, certamente divina… ma forse più popolaresca che sacrale. È un noto adagio pensare che in punto di morte faremo i conti con il nostro vissuto. Il Paradiso o l’Inferno, la salvezza eterna o la dannazione per i nostri peccati. Tutto questo lo prendo come allegoria e quel che voglio dire è semplice: per quanto stiamo impoverendo la nostra anima e la nostra spiritualità, al momento di pagare un conto, sarà talmente impoverita che non basterà più neanche venderla. Dorian Gray poteva farlo per restar giovane sempre… forse erano anime di ben altro valore quelle. Sempre muovendosi per allegorie, si capisce…

Non pensi di essere troppo severo e generico adducendo che la nostra anima si sta impoverendo? Non penso che la tecnologia e la scienza siano tornate indietro e non penso che il loro progresso sfacciato sia merito dei computer. Ci sono uomini dietro…
Verissimo. Ma occhio a non confondere le due cose: siamo nell’era della tecnica e non dell’uomo. L’uomo quotidiano, io, tu, noi, siamo immersi come schiavi nella tecnica che quel piccolo nucleo di persone ha determinato e sceglie come vendercelo e farcelo usare. Pasolini ce lo diceva: il nuovo capitalismo, le grandi industrie e il consumismo spietato, sta realizzando quello in cui la dittatura militare del passato ha fallito. Le masse vengono inondate di apparente benessere e noi restiamo inermi ad ingoiare senza coltivare la nostra spiritualità. Dunque non solo subiamo ma soprattutto siamo arrivati ad accettare il ruolo di inermi consumatori perché felici di possedere cose, benessere, mode e appartenere a classi sociali. Spendiamo le nostre migliaia di euro per avere in mano strumenti di una tecnologia avanzata di cui però non conosciamo niente, non sappiamo niente e soprattutto non ne usiamo che una minima parte… basta fare i post sui social con belle foto e siamo felici così. Perdonate se faccio violente sintesi della vita di tutti ma, fuor di ipocrite bandiere di perbenismo, davvero volete dirmi che la vita quotidiana della massa è diversa da questa fotografia? Davvero abbiamo il coraggio di dichiarare pubblicamente che non è vero che se non scrivi sui social una data cosa, quella stessa cosa non esiste e non esiste neanche la curiosità di andarla a scoprire? Ho come l’impressione che la tecnica stia evolvendo e l’uomo si stia degradando… e un uomo sempre più stupido è facilmente consegnato a qualsiasi politica di mercato. Detto questo tornate a dare uno sguardo ora al video e magari avrete altre chiavi di lettura…

Dunque “Infinite Jest” è una bandiera politica o un manifesto?
Bella domanda… direi che è quello che vuoi. Tanto l’ascolteranno pochissime persone e tra quei pochissimi, una minima parte raccoglierà la curiosità di voler entrarci dentro e contestare o discutere o far domande. Dunque non so quale ruolo sia meglio da scegliere: bandiera o manifesto, in fondo il limite può essere sottilissimo.

Anche qui non sei severo con gli altri? Non hai davvero paura di far la parte del frustrato che da colpa agli altri?
Sicuro che sono severo ed è altrettanto sicuro che la soluzione più comoda è sempre quella di darmi addosso giudicandomi in tutte le salse possibili. Che sia invece più scomodo riflettere con onestà su queste quattro frasi scopiazzate da pensieri altissimi? Frasi certamente ricche di scena pomposa, anche volutamente esagerata… ma il succo è poi tanto diverso? Oppure vi chiedo: se queste stesse cose (come d’altronde accade) le dicesse in televisione, che so… Galimberti? Lui è il saggio ed io il frustrato? Sono chiamato a risponderti in modo infantile perché le dinamiche sono assai infantili. Si sono severo e scomodo ma è quello che penso. Potrei farti nomi e cognomi di chi si è fermato a far domande meno banali delle solite, qualcuno mi ha mosso critiche assai interessanti ma in totale non superiamo le 12 unità. E se le ho potute contare direi che è un dettaglio assai interessante… Il resto sta in silenzio e qualcuno commenta ma cose del tipo: “perché la tipa nuda non l’hai mostrata più a lungo? Avrebbe attirato più visualizzazioni…”. Detto questo… detto tutto.

Però devi ammettere che le parole si capiscono poco. Non pensi sia un elemento distraente per l’attenzione?
I Verdena (tanto per fare il primo esempio che mi viene alla mente) sono anni che scrivono parole (per niente facili) mixate ad un volume che quasi vuol vietare l’intelligibilità dei testi. L’ultimo disco è praticamente inutile (sotto questo punto di vista) senza i testi alla mano. Dunque: se vuoi davvero saper cosa dice una canzone e se non l’hai capito, esistono mille mila modi di attingere con un click di pochi secondi a tutto il suo testo. Compreso il Lyric video su YouTube. Dunque, non giriamoci attorno e non facciamo mostra del politicamente corretto per cadere in piedi. La domanda è facilissima: sono i testi che non si capiscono o è a voi che non frega nulla di capirli? Rispondetemi voi se vi va…

E forse allora c’è da chiedersi: che sia una brutta canzone che non interessa a nessuno?
Ma magari fosse così. Ben venga. Ripeto: fareste un grave errore di valutazione nel credermi presuntuoso e al riparto di ogni contraddittorio. È proprio la critica che cerco per una mia crescita prima di tutto. L’indifferenza però copre ogni cosa, copre anche il “non mi piace”: io parlo con onestà di una reazione che sia tale in ogni direzione. Non ti piace? Dimmelo… parliamone… sono affamato del tuo e del vostro punto di vista perché una creazione artistica vuole incontrare gli altri. Da non confondere con la bulimia di successo e di notorietà. Ma ecco: tanti di noi impiegano sforzi mentali e spirituali di un certo peso per cesellare cose e poi attorno raccolgono il silenzio. Magari perché a differenza delle canzonette che premiano in televisione e che sono facili da capire, qui si deve ragionare… o forse perché, come detto in esergo anticipando questo articolo, è un cocktail utile perché l’articolo non venga letto. Forse non è questione di bello o di brutto. Forse, più banalmente, è questione che sia lungo e impegnativo… 

E Paolo Benvegnù? La sua partecipazione al brano come la racconti? Anche questa è una manovra mediatica?
Anima alta. Non ho parole per ringraziarlo. E la sua tempestiva partecipazione è stata per me anche segno di stima e di appartenenza. Ma mettiamo da parte il suo nome in quanto tale. Parliamo del “vip” che partecipa ad un’opera in generale e riprendiamo dinamiche dette prima, che si rinnovano. Ma scusate: non è forse una forma di chiara esca per l’attenzione della pubblica piazza quella di mettere un nome pregiato accanto a quello di perfetti sconosciuti? Se c’è il nome di quello famoso beh allora tutti sull’attenti… altrimenti boh… e N.o.D.o. certamente è meritevole di niente perché chi sono Paolo Tocco e Matteo Dossena… giusto? Ma scusate, non è forse l’opera ad esistere a prescindere, quella che dovreste giudicare? Evidentemente no. È invece il vip di turno, con la sua faccia ed il suo nome che da forza ad una voce che altrimenti verrebbe ignorata più di quanto accada normalmente. Cioè capite quanto è preistorico questo risvolto sociale? E accade per tutto ormai, non solo per le canzoni. Per tutto… è il DNA delle tangenti, del malaffare, è la struttura portante dei giochi di palazzo dentro cui presentarsi con il benestare di tizio caio o sempronio così tutti sull’attenti e pronti a darti udienza. Mio padre ha dovuto fare una TAC d’urgenza… nessun posto nell’immediato, neanche a pagamento… ma grazie all’amico inserito nelle corsie d’ospedale ecco pronto ad uscire il posto, magicamente… e tutto questo lo coccoliamo e non lo denunciamo perché ci fa comodo passare avanti… e perché altrimenti ne pagheremo le ritorsioni, le pagheremo in ostacoli e bastoni chiodati tra le piccole ruote di ogni giorno. Mi scuso sempre se prendo l’erba tutta e ne faccio un fascio… ma davvero volete dirmi che non è così? E tutto questo voi la chiamate evoluzione? Io lo chiamo degrado.
E vista l’indifferenza cosparsa ovunque ci siamo permessi di far quel che volevamo: no Paolo Benvegnù non è frutto di una manovra mediatica. Paolo Benvegnù l’ho fortemente voluto perché a lui devo l’ispirazione di questo brano. Un disco come “Dell’odio dell’Innocenza”, manco a dirlo, parla di tutto questo e lo fa con parole più alte e pregiate delle mie. E un disco da ascoltare ogni giorno. Siamo tutti allineati sulla superficie…

Il video di “Infinite Jest”: parlavi della ragazza nuda ma io ti parlo anche delle scene lunghissime quasi come nei film della controcultura. Che mi dici?
Scene lunghe? Si l’abitudine moderna del tutto e subito fa si che pochi secondi siano un’eternità insostenibile. INSOSTENIBILE. Mi hai fatto una domanda meravigliosa. Ma sai che il 90% simbolico di chi ha visto il video con me si è comportata quasi allo stesso modo? La prima scena dura 20 secondi. Dopo circa 6 secondi, in concomitanza più o meno con la fine della seconda frase, in genere mi è stato detto qualcosa del tipo: “Ma il video è fermo? Non succede niente!!!”.  Io penso che un simile commento, arrivatomi in altra forma anche da un cantautore famoso che per mio schiavismo professionale non ho fegato di citare, la dica lunga. Ma davvero lunga. Zero voglia e capacità di confrontarsi con il video, con il suo messaggio, con i suoi tempi… non c’è la pazienza e la curiosità di vedere cosa accade, non c’è pazienza di attendere tanto da dover parlare subito coprendo anche parte del brano che segue e di cui non si capiranno ovviamente parole e senso, visto che ci stai parlando sopra lamentandoti che la scena è ferma. Insomma davvero devo continuare? E alla fine, sempre da quel 90% simbolico, mi ritrovo il commento sul culo della mia amica (commenti di ogni tipo sappiatelo, che su quello non c’è indifferenza) senza aver minimamente capito perché sta li visto visto che a forza di commentarlo non si è ascoltato quel che la splendida voce di Benvegnù sta cantando in quel momento. Mi avete chiesto voi di essere velenoso e sincero. Ecco qui la mia storia sociale raccolta sino ad ora con questo brano. Poi ovviamente c’è anche altro… ma ahimè è una parte talmente piccola che quasi si rende insignificante. 

Potremmo continuare a lungo. Abbiamo accettato di fare questo articolo pensando (anzi sperando) che qualcuno raccolga l’ennesima voce artistica che si sta alzando in una direzione critica verso quel che stiamo diventando tutti. Ed è certo che converrebbe cinguettare (come dice Tocco) di soluzioni politicamente corrette… ma forse tocca riflettere bene perché in fondo, rare eccezioni a parte, davvero non siamo più capaci di esistere senza un telefonino in mano che ci dica le cose dai social network. E siamo d’accordo anche noi: questa non è evoluzione.