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L’opportunità dell’associazionismo universitario per la crescita sociale

Considero il periodo universitario la fase più intensa della mia vita e la più impegnativa. Da quando ho iniziato a lavorare mi sono per contro sentito in vacanza: sabato e domenica liberi, serate libere, nessuna spada di Damocle di un esame da recuperare che ti rende amara anche una vacanza. Il mondo del lavoro mi appariva molto meno duro!
Ma l’università può essere ridotta solo a lezioni, studio ed esami?
Ritengo che l’esperienza universitaria sia molto di più. Soprattutto per quegli studenti fuori sede che iniziano davvero una nuova vita. Ad ogni modo la questione è valida per tutti: evitare di identificare il corso di studi universitari semplicemente come la continuazione del liceo.
Da sempre ho creduto che l’esperienza di crescita personale e professionale dovesse essere accompagnata da attività progettuali, iniziative sociali, esperienze di proattività e di impegno verso i propri colleghi e l’intera società.
Era solo una mia voglia di apparire? L’effimera ricerca di gloria personale? O forse qualcosa di più?
Di sicuro la spinta ad impegnarmi si originava da più di un obiettivo. Personalmente la definisco come il desiderio di lasciare il segno, di rendere in qualche modo concreto il mio passaggio. Ma in questo non sono solo.
Alcuni scelgono un impegno spirituale, partecipando alle organizzazioni legate ad una confessione religiosa, offrendo la propria opera nei confronti dell’Umanità o di alcune sue parti bisognose. Altri optano per l’impegno politico in un partito o un movimento che ritengono possa cambiare in meglio la società. Ci sono quelli che sviluppano le loro capacità nello sport individuale o di squadra e quelli che al calar delle tenebre si incontrano per costituire la redazione di un giornale; quelli che organizzano feste e quelli che realizzano qualcosa da vendere, accompagnati da chi poi la vende…
Altri ancora, invece, si concentrano sullo studio; sono bravi, puntuali, regolari. Fanno solo quello e non è poco. Finiscono in tempo gli esami, giungono prima nel mondo del lavoro, procedono senza distrazioni. Corrono dritti alla meta e arrivano prima degli altri. Ma, alla fine, si può dire che abbiamo davvero vissuto?


Trascinarsi nell’università come se fosse un prolungamento della scuola superiore non mi è mai sembrata un’opzione valida.
Durante i miei anni accademici accanto al brivido che mi procurava il sedermi davanti al prof o all’assistente di turno, c’erano quelli di quando alle 3 di notte si scolava la pasta, proprio dopo aver impaginato l’editoriale del giornale universitario. C’erano le emozioni che si provavano cucendo il proprio numero sulla maglia, mentre in treno ci si recava a Lille per i giochi sportivi universitari. C’era l’ebbrezza e anche un certo annebbiamento della vista di quando si brindava fino a notte tarda con gli studenti di AIESEC provenienti da tutta Italia per un meeting nazionale. C’era una certa eccitazione e ci si sentiva come gli antichi pellegrini a gettarsi su un materasso messo a terra in un dormitorio studentesco a Copenaghen, ospiti degli studenti danesi durante un seminario internazionale della European Law Student Association.
Ogni singola esperienza è ora parte della mia vita e per nessun motivo vi avrei rinunciato. L’obiettivo non era quello di arrivare prima a sedermi nel mio bravo futuro posto di lavoro. Non volevamo sopravvivere fino all’età adulta, bensì vivere appieno la nostra gioventù.

Ora è il turno dei miei figli in università, ma la situazione sembra diversa. La riforma del 3 più 2 ha trasformato l’università in un esamificio e forse spazzato via l’associazionismo.
Nella laurea quadriennale (la laurea del “vecchio” ordinamento) si trascorreva il primo anno ad ambientarsi e a prendere il ritmo con i tempi e lo studio universitario. Per le associazioni gli studenti “matricola” erano semplici fruitori. Durante l’anno però qualcuno si avvicinava a questo strano mondo, diverso dal liceo, che scimmiottava le organizzazioni dei grandi. All’inizio del secondo anno era il momento di scegliere, era la fase del recruiting e poi della formazione. Si assaporavano le nuove esperienze e alcune associazioni prevedevano per i “newcomer” degli eventi speciali, detti “Motivational” (ad esempio AIESEC). Si costruiva l’entusiasmo e si liberava la creatività, che servivano durante il terzo anno universitario, l’anno della “maturazione”. Era questo l’anno dell’impegno e della crescita nell’organizzazione associativa. Poi, durante il quarto anno, mentre ormai ci si sentiva degli “anziani”, si dava il massimo. Era l’anno della responsabilità: si ricoprivano le cariche più importanti, si dava l’impronta propria all’organizzazione e si portavano avanti i progetti. Verso la fine del quarto anno, con l’avvicinarsi della laurea, si pensava al cambio della guardia. Non era finito l’impegno, ma adesso era il momento del passaggio delle consegne, della condivisione dell’esperienza fatta con i nuovi capi, dell’affiancamento e, infine, degli addii.
Quattro anni erano un tempo sufficiente per sviluppare un’esperienza di associazionismo completa e in grado di far sì che fosse perpetuata nel tempo. C’erano vari momenti, che si susseguivano ordinatamente: un tempo per conoscere e beneficiare, quello di aderire, crescere, dirigere e poi, alla fine, formare i successori e uscire.
Oggi però queste fasi non si possono più sviluppare in serenità. Adesso il corso degli studi è tutta una cavalcata. E anche il contesto è cambiato: pensate che l’università stessa propone stage e tirocini curriculari in azienda già dal secondo anno. Viene quindi definito un percorso dal quale è molto difficile distaccarsi. Non ci si può attardare in quisquiglie inutili, in attività di contorno, in deviazioni infruttuose dal cammino di studi preconfezionato. Non si può perdere il treno, né uscire in modo scellerato dalla fila. E questo perché chi non finisce in tempo i 3 anni non potrà iniziare puntualmente i due successivi e sarà costretto ad una pausa forzata, un momento d’attesa tra la laurea breve e l’inizio della magistrale: una perdita di tempo inconcepibile. Il tutto solo perché non ci si era laureati in tempo per poi regolarizzare l’iscrizione alla laurea magistrale.
Molti curriculum già oggi contengono un periodo di stage o un corso di lingua straniera all’estero o una piccola esperienza lavorativa dopo la laurea breve. Poi si torna di nuovo nelle aule per la laurea magistrale, ma si è perso un altro anno. Un tempo universitario che purtroppo si allunga verso i 6 anni e più.


Proprio per meglio comprendere la situazione attuale ho voluto ascoltare dalla loro viva voce il parere di due studenti particolarmente impegnati: Luca Junior Colangeli, Presidente di IELU Consulting, la Junior Entreprise dell’Università LUISS, e Paolo Schioppa, Presidente dell’Associazione ELSA Roma (European Law Student Association).
IELU Consulting LUISS, con 55 iscritti, provenienti per la maggior parte dalla Facoltà di Economia soprattutto dagli iscritti della Laurea Magistrale, ha completato appena il recruiting del 2022. Si tratta di un’associazione sui generis, perché si occupa di fornire consulenze alle imprese e agli enti e quindi di calare gli studenti già nell’attività professionale, per colmare il gap tra lo studio e il mondo del lavoro. Per acquisire nuovi iscritti l’associazione si basa molto sul passaparola e lamenta il disinteresse dei più verso le attività che non siano solo quelle di base: studio e svago. Chi aderisce lo fa in modo prevalente per progetti specifici e con un impegno non continuativo.
Risponde all’intervista anche Zahir Khan, Director di LFC Finance Club, un’associazione che si occupa di stimolare le interazioni tra gli studenti e il mondo del lavoro tramite “company visits” con partner come BCG, Deloitte, PwC e altre iniziative. La sua associazione conta ben 870 soci, anche se sono circa 300 quelli che partecipano attivamente. La maggior parte di loro segue l’ultimo anno della laurea breve o la Magistrale. Tra le cause che limitano la partecipazione il giovane intervistato indica il fatto di accorgersi tardi dell’importanza delle attività extra-curriculari, da affiancare alle attività di studio ed a quelle organizzate dall’università.

Paolo Schioppa invece guida i 20 studenti del direttivo di Elsa Roma, punto di riferimento delle università romane dove si studia diritto. Elsa è gestita dagli studenti di giurisprudenza ed è presente in Italia con 30 sedi. L’associazione ha come obiettivo quello di accrescere la cultura internazionale, la cooperazione e le competenze professionali degli studenti. Oggi i soci di Elsa Roma che partecipano alle iniziative sono ben 450, ma chi si rimbocca le maniche e gestisce le attività sono sempre in pochi.

I motivi che spingono gli studenti a partecipare sono quelli di integrare il proprio CV per l’accesso al mondo del lavoro. Spesso in questi casi l’adesione avviene quando oramai si sta per lasciare l’università e già si pensa al mondo del lavoro. Opportunismo o reale interesse? Pesano però di più le ragioni che limitano la partecipazione studentesca alle associazioni, perché si ha paura di non riuscire a stare al passo con gli impegni universitari. Paolo aggiunge anche che in Italia è poco sviluppata una cultura associazionistica e di intervento civile. Di certo siamo lontani da quanto succede all’estero. È con amarezza che il giovane presidente ritiene non sia soddisfacente l’impegno degli studenti verso l’associazionismo, una realtà purtroppo non in buona salute.
Una situazione non particolarmente rosea in Italia, dove molte delle esperienze associative, una volta avviate, si spengono in pochi anni. Per tastare il terreno ho provato a contattare più di 20 associazioni presenti sul sito ufficiale della LUISS e perfino il “Referente Associazioni” dell’Università. Il risultato è stato ampiamente insoddisfacente: solo in 2 hanno risposto.

In realtà le associazioni studentesche universitarie svolgono un importante ruolo di aggregazione, di progettualità e di coinvolgimento degli studenti nella vita universitaria e sociale del paese. Per questo motivo sarebbe utile che si investisse per sostenerne l’azione e lo sviluppo.

Chissà che non possa essere questo uno degli argomenti che il nuovo Governo avrà il coraggio di prendere in considerazione…