È un progetto interessante quello che segna l’esordio degli ERIN Collective, un primo LP a firma di un collettivo di stanza a Bologna. Un disco dal titolo “Alternative Positive” uscito per IRMA Records e che centra il concetto di suono e di scrittura dentro un messaggio di lotta alla discriminazione. Pescando a piene mani dalla loro press kit cito: “ÈRÍN vuol dire in lingua Yoruba sorriso, risata ed è attraverso questo atteggiamento che si può incontrare l’altro e che si possono sconfiggere paure, confini, differenze culturali, odio e guerre. I titoli e il significato dei testi di questo debut album richiamano questo orizzonte”.
Fluisce quel modo jazz che cerca il mondo dentro sfaccettature e soluzioni. Fluisce senza pensare troppo alla forma come moda e come orientamento di stile. Un po’ come camminare liberi tra gli uomini della terra, senza chiedere altro che l’incontro…
Un disco contro le discriminazioni razziali… un disco che tipo di contributo può dare oggi?
Tutto ciò che parla di discriminazione può dare un contributo a “combattere” i pregiudizi e gli stereotipi che inevitabilmente sfociano poi nell’intolleranza e successivamente nel razzismo. Vediamo con i nostri occhi tutti i giorni come un certo tipo di cultura ci parli di un “diverso da te” che deve essere tenuto a distanza e che va respinto se non “fatto fuori”, perchè non la pensa come noi, perchè ha tradizioni e/o credo diversi dai nostri, perchè ha un colore della pelle non uguale al nostro: questo diverso da noi è considerato pericoloso per un certo tipo di sistema.
La musica per gli ERIN collective si schiera contro tutto questo e richiama ad impegnarsi per i diritti, per la pace, per la resistenza al razzismo e alle disuguaglianze di ogni genere. È un’alternativa che richiede un impegno e una scelta. La musica è uno strumento di lotta; che ci fa ballare, ci fa sorridere e innalza lo spirito per creare legami. I testi di Same Blood e di Resistance ne sono un esempio.
ÈRÍN vuol dire in lingua yoruba sorriso, risata ed è attraverso questo atteggiamento che si può incontrare l’altro e che si possono sconfiggere paure, confini, differenze culturali, odio e guerre.
I titoli e il significato dei testi di questo album richiamano questo orizzonte. È un contributo che da a noi tutti più consapevolezza, in primis al nostro collettivo.
Per questa ragione l’omaggio a Fela Kuti e ad un certo immaginario di mondo e di suoni?
Fela Kuti è un nostro riferimento insieme ad altri artisti della scena afrobeat come Tony Allen, Ebo Taylor e gli Antibalas. L’omaggio che abbiamo fatto a Fela, fondatore dell’afrobeat, è inserito in quasi tutti i testi dei brani cantati che parlano di resistenza ed impegno sociale, scelte da fare; è un ricordare il suo impegno e il suo insegnamento: “Music is the Weapon”. La musica è l’arma contro il potere, un mezzo per combattere le ingiustizie e lottare per i diritti umani. Lui lo ha fatto in Nigeria ed è stato anche perseguitato per questo perché lo rivendicava come messaggio al paese, al popolo e al governo corrotto e violento. Gli ERIN collective parlano allo stesso modo di diritti, di musica come forma di lotta, ma anche di pace e ci aggiungono il sorriso (Ẹ̀RÍN significa in lingua yoruba sorriso, risata) che per noi è l’atteggiamento con cui si può incontrare l’altro; è un’aggiunta che abbiamo in più perché questa è la nostra posizione, la nostra altra arma accompagnata dalla musica: quindi si potrebbe dire che l’alternativa positiva comprende il sorriso e la musica, assieme.
Che poi nel mondo povero le persone sono assai più felici… scusa il noto adagio, ma è qualcosa che spesso dimentichiamo o a cui non facciamo caso… che ne pensate?
Beh, come ogni luogo comune, anche questo ha indubbiamente il suo fondo di verità: pensiamo ad esempio a come siamo legati oggi ai beni materiali, agli ultimi modelli usciti di qualsiasi mezzo o dispositivo, o a quanto siamo dipendenti da internet e dalla tecnologia con tutti i suoi comfort; senz’altro tutte queste sono risorse preziosissime, che però spesso ci distolgono dalla semplicità, dalla realtà, da confronti più diretti e sinceri e dal toccare le cose con mano e conoscerle a fondo prima di giudicare. I mezzi a cui si ha accesso oggi nelle aree di maggior benessere si possono tuttavia mettere al servizio di una maggiore sensibilità, questa sarebbe una vera ricchezza per tutti!
Collettivo: una parola importante. Il vostro è un collettivo… perché? Che significato ha per voi questa parola?
Certo è una parola importantissima: il nostro è un gruppo di persone diverse non solo per formazione musicale, ma per esperienze differenti di vita sociale e politica e proprio queste differenze sono la sua forza. Il collettivo racchiude in sé un atteggiamento di ricerca del bene comune, del sorriso, dello stare bene insieme, del creare musica e testi con significati ben precisi.
Attraverso questo atteggiamento ci si conosce, ci si unisce e ci si arricchisce dal punto di vista umano; lavorando in questa direzione si cresce insieme.
C’è stata e c’è una regia in questo collettivo che ha dato un orientamento musicale e progettuale, ma non deve essere intrusiva, invasiva. Siamo nati come Ẹ̀RÍN afrofunk e siamo ora ERIN collective, perché c’era in atto un cambiamento positivo, un ampliamento dell’organico per esigenze progettuali, musicali ed umane. Potremmo dire che Resistance e il suo testo potrebbero avvicinarsi molto al significato che per noi ha la parola collettivo.
E restando sul tema di apertura e contaminazione? Cosa è accaduto al vostro gruppo e al vostro suono in tal senso?
Il nostro orientamento è l’afrobeat degli anni ’70; il nostro riferimento principale è Fela Kuti. Devon Miles ha confermato questa nostra matrice ed è stata scelta come voce per completare l’opera.
Questa cosa non è da sottovalutare. Ma in tutto questo c’è contaminazione, eccome! E questa parte dalla singolarità dei fantastici musicisti che fanno parte di questo collettivo, che vengono da esperienze musicali diverse, ma che si sono incontrati ed hanno scelto di portare avanti questa identità musicale. Quindi il tocco funk o jazz dei singoli si fonde dentro una ritmica afrobeat e offre sempre colori nuovi ed originali. Ascoltate ad esempio Kalam Layl e potete verificare questo: la voce e la ritmica gnawa (con Reda Zine alla voce e Yado Uzun alle percussioni) è la contaminazione e ad un certo punto sembra far da padrone, ma poi si ritorna sulla ritmica afrobeat, anima e cuore di questo collettivo.