Il cantastorie veneto a Roma con i suoi racconti al Teatro Quirino

“Facce male!”

È una voce dal chiaro accento romano quella al Teatro Quirino che arringa l’attore e sottolinea l’effetto catartico della sua arte. Lui sorride sornione e snocciola i suoi racconti.

Marco Paolino

Alle storie già sperimentate della sua giovinezza e dei suoi primi approcci alla carriera di attore affianca i nuovi temi della sostenibilità sviluppati con Telmo Pievani nella trasmissione La Fabbrica del Mondo andata in onda in tre puntate su RAI TRE a gennaio (www.raiplay.it/programmi/lafabbricadelmondo). E poi la Sagrata Familia di Gaudì, Stanislav Petrov che salva il mondo, il terremoto del 1976 in Friuli, la Pandemia, saltando con destrezza avanti e indietro nel tempo.

Marco Paolini è un predicatore moderno, un incantatore di spiriti, un cantastorie di altri tempi. Ma non basta. La politica che lui promuove è quella lungimirante e sana, che noi abbiamo oramai dimenticato, quella che un passo alla volta lascia un mondo migliore per i nostri figli, forse per i nostri nipoti. Non di certo quella che osserviamo ogni giorno cercare il consenso in un avvicendarsi di iniziative effimere e miopi.

Le sue storie sono fatte di saggezza popolare e tecnologia moderna, di umanità imperfetta e scienza. Si alternano nella sua narrazione temi globali e vicende popolari locali, ambientate nel suo amato Veneto.

Si parla di personalità di rilevanza internazionale, ma anche di protagonisti umili, che nella loro semplicità si ergono a campioni di questa umanità allo sbando, senza più valori né dignità.

Il benessere anestetizza e ci rende schiavi delle migliaia di cose che possediamo, dei tanti legacci che ci creiamo, fino al punto che le Cose diventano loro i nostri padroni. Si capisce quindi perché la massa dell’artificiale, cioè di quanto creato dall’uomo, cresca a ritmi assurdi e ormai ha superato la massa degli esseri viventi sul pianeta. E purtroppo non si vede un modo per invertire il trend, ma neanche per arrestarlo o rallentarlo.

L’era del “Ciao”

Paolini ci ricorda che siamo nell’era del “Ciao”, diffuso in tutto il mondo come saluto. Una parola che nasce a Venezia però dalla logica malata della sottomissione (seppur metaforica). A lui, piace salutarci con “Sani”, che è un modo utilizzato ai piedi delle Alpi, e viene dalla parola “Salus” e che indica salute, salvezza, benessere, prosperità e che sembra unire di più la comunità.

Le suggestioni dell’attore ci lasciano più volte senza fiato, a volte sembra senza speranza. Racconta di crisi che hanno cambiato il mondo, di occasioni perse e di opportunità che invece sono state colte. Il messaggio è che bisogna raffigurarsi un futuro migliore, provare a immaginarselo noi, ma anche aiutare chi ci circonda a visualizzarlo. Poi, non bisogna attendere immobili che qualcuno muova il primo passo. Bisogna avere il coraggio di incominciare noi a percorrerne la strada. Magari qualche passo, quel che possiamo, che, per quanto infinitesimale, mostra la nostra volontà di seguire un nostro itinerario virtuoso. Dobbiamo quindi tener viva la speranza che questo nostro percorso sarà seguito da altri e che insieme potremmo farcela a trascinare dentro anche i più scettici.

Torna presto cantastorie nella Capitale! Anche qui c’è bisogno di scoprire quel pensiero “nuovo”, in grado di valorizzare quanto di buono ci viene dal passato.

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