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Non so insegnare praticamente nulla della vita, ma un pensiero sento di esprimerlo. I campioni devono ritirarsi quando ancora sono campioni. È stata questa la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho ascoltato le parole di Vincenzo Nibali, che annunciava il suo ritiro dal ciclismo a fine stagione. Lo Squalo lo ha fatto in una circostanza particolare. Non perché il Giro d’Italia stesse passando dalla sua Messina.

Vincenzo Nibali, nato a Messina il 14 novembre del 1984, tra i sette ciclisti ad aver conquistato almeno un’edizione dei tre Grandi Giri.

Ma perché era il momento preciso in cui ci stavamo accorgendo che Nibali stava perdendo, come inchiostro sotto l’acqua, lentamente il suo talento, anche perché è entrato nella fase matura della sua carriera. È da una settimana prima del Giro che stavo riflettendo su un articolo riguardante la corsa “rosa”. Ma cosa fare? Le gare non stanno dando chissà quale spettacolo, in alcuni momenti la cosa più divertente sono gli spot di Giovanni Rana. Che faccio? Un pezzo nostalgico sul perché i ciclisti di oggi li conoscono in pochi ed i giovani sono tutti concentrati sugli Internazionali d’Italia di tennis? La nostalgia non è una cosa che mi appartiene e poi è una cosa che potrei lasciarmi per un altro momento.

Uno spaccato sulla fatica che fanno i ciclisti, partendo dal lavoro di gregario e passando dalla mitica Parigi-Roubaix? Troppo tecnico e macchinoso, non so come potrebbe venir fuori. Parlare degli appassionati di ciclismo e cercare di capire perché si infervorano così tanto nel parlare di telecronisti, tecnici e presentatori, lanciando i peggiori anatemi nei confronti di quelli che gli stanno antipatici? Potrebbe starci, ma se viene fatto usando i veri termini utilizzati. Questo, però, comprometterebbe un mio gioco personale che va avanti da tempo. Si chiama “Evita la querela”, e non so come, ma sono ancora imbattuto.

Poi, però, Vincenzo ha capito la mia situazione e si è messo una mano sul cuore. Quello stesso organo che ha donato al ciclismo per poter superare le più alte montagne d’Europa. Arriva da Messina, cosa non da poco. Il ciclismo è storicamente uno sport dove si vince a Nord. Ricordo Danilo Di Luca, vincitore del Giro 2007, che rimarcava il fatto di essere uno dei primi meridionali a portarselo a casa (ha usato un altro termine, molto più confidenziale…). Nibali ha vinto il Tour, il Giro, la Vuelta, campionati tricolori, è l’italiano più vincente dai tempi di Felice Gimondi.

Nel 2013 Nibali vince il Giro d’Italia e colleziona una delle sue più grandi imprese sotto la neve alle Tre Cime di Lavaredo.

Ma non buca lo schermo. Non è, purtroppo, conosciuto dalla massa. L’italiano medio se pensa al ciclismo, pensa ancora al compianto Pantani e a Cipollini. Tutto buono. Ma sono passati quasi vent’anni. La mannaia doping si è abbattuta sul mondo delle biciclette, ma comunque Giro e Tour hanno ancora una grande cassa di risonanza. Due anni fa Jay Hindley e Tao Geoghegan Hart sono arrivati all’ultima tappa, una cronometro, in testa con lo stesso tempo. Pochissimo pathos, pochissimo rumore fuori dagli appassionati. È vero che era ottobre, è vero che i grandi ciclisti scelsero la Vuelta dopo il marasma Covid, ma rimasi di stucco.

Nel 2021 Sonny Colbrelli ha vinto l’Europeo e la Parigi-Roubaix, prima di doversi fermare per un arresto cardiaco.

Qualcosina di più si è visto per la magnifica impresa di Sonny Colbrelli all’Europeo, che poi ha dovuto fare i conti con la perfidia della sfortuna. Ma non quanto Colbrelli merita. Tornando a Nibali, quando è salito alla ribalta con Tour e Giro, sembrava che dovesse vincere per forza ogni gara. Perlomeno questo pensava l’opinione pubblica, o quantomeno quella che lo seguiva. Tutto questo dimenticando, un pochino, quanto ha fatto e i successi li abbiamo evidenziati in precedenza. Ho paura che questo tipo di attesa o di pretesa possa diventare cosa comune. Uno su tutti Marcell Jacobs.

Nibali festeggia la vittoria della Vuelta de Espana nel 2010.

E poi lo speciale a lui dedicato dopo l’annuncio del ritiro. Non credevo ai miei occhi. Pensavo di poter rivivere le sue gesta, qualche intervista vecchia, un allenatore del passato che aveva visto le sue qualità. Niente di tutto questo. Interviste ai suoi genitori sulle prime volte che andava in bici, le emozioni per non poter frequentare con costanza Messina, addirittura un intervento di una sua compagna di classe alle elementari. Giuro che è tutto vero.

A un certo punto ho dovuto prendere il telecomando. Pensavo di seguire una trasmissione di Barbara D’Urso o di Silvia Toffanin. Invece no, era proprio la diretta del Giro d’Italia. Eppure qualche documentario su di lui c’è. Su YouTube ci sono video delle sue imprese che superano 400mila o 500mila visualizzazioni. Evidentemente l’altro giorno, a Messina, solo Vincenzo aveva voglia di pedalare.