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Milan campione: Pioli, il vincitore senza medaglia.

22 dicembre 2019, ultimi preparativi prima dei cenoni natalizi. Il Milan, però, è praticamente già in tavola ed ha pronto anche il mercante in fiera e la briscola. In realtà c’è anche la partita di Bergamo contro l’Atalanta, che si trasforma in una vera e propria disfatta. La Dea vince clamorosamente per 5-0. Fa doppietta Ilicic, oggi purtroppo alle prese con tutt’altra situazione. In campo ci sono Romagnoli, Kessie e Leao. Per il resto tutto il gruppo presente verrà smantellato.

Non sarà messo alla porta, però, il tecnico che guida quella squadra malconcia, un certo Stefano Pioli, che viene contestato da molti tifosi rossoneri. Dopo quasi 15 anni di esperienze in provincia, il mister fa bene alla Lazio e supera lo scoglio della zona medio bassa approdando all’Inter. Ad ottobre l’arrivo al Milan, in quel momento non proprio il posto ideale dopo l’esonero di Marco Giampaolo. Ed i primi mesi non sono certo idilliaci.

Stefano Pioli, 56 anni, nel periodo in cui sfoggiava la barba bianca.

I tifosi, soprattutto a San Siro, non perdono occasione per esprimere il proprio malcontento. Pioli viene individuato come allenatore dal poco polso, con la sua barba bianca folta viene paragonato a Padre Pio. Lo ribattezzano Padre Pioli, come se fosse un prete di qualche paese sperduto di campagna della Bassa padana, che lui conosce bene. Ma succede qualcosa. A marzo il Covid ferma tutto. Al di là della questione sanitaria, dal punto di vista meramente calcistico si tratta di una notizia importante per il Diavolo.

Il poster esibito dal Milan per festeggiare il 19° scudetto, lo stesso numero di quelli vinti dall’Inter

A giugno si riparte in quattro e quattr’otto, e lo si fa con gli spalti completamente vuoti, non si può fare diversamente. Ma è quello che serviva al Milan in quel momento. Isolarsi da tutto il resto. L’undici di Pioli inizia ad accumulare vittorie su vittorie ed a fine stagione sconfigge anche la Juventus, pronta a diventare campione d’Italia. Lì parte la vittoria dello Scudetto del Milan di Pioli.

Stefano Pioli ha allenato, nell’ultimo decennio, Sassuolo, Chievo, Palermo, Bologna, Lazio e Inter.

Il tecnico è stato premiato, ma “non ha le prove”. Infatti durante la premiazione, probabilmente un tifoso milanista troppo emozionato per il ritorno alla festa dopo 11 anni, gli strappa la medaglia e gliela ruba. Ma non credo che rischi di fare la fine di Charles Leclerc che non viene riconosciuto, oppure di Leonardo Bonucci con lo steward in Italia-Spagna. Tornando a Pioli, oggi andateci a chiamarlo Padre Pioli.

Il Milan ha vinto con 86 punti, frutto di 26 vittorie, otto pareggi e quattro sconfitte

Così come Zlatan Ibrahimovic, un altro con una “gimmick” ben precisa. Lo svedese viene associato a persona prepotente, irrispettosa, altezzosa. A differenza di Pioli, Ibrahimovic va fiero di questo suo personaggio. Ma è un personaggio, mica la realtà. Ibra al suo ritorno al Milan ha dimostrato di essere la classica chioccia dello spogliatoio, che fa esprimere al meglio tutti i compagni di squadra. Questo a 40 anni, con gli infortuni che lo fermano, dopo che aveva già deciso di chiudere con il calcio vero andando negli Stati Uniti.

Un altro sempreverde è Olivier Giroud (come direbbero quelli bravi, da non confondere con Michela Giraud). Arrivato tra i brusii, tra chi lo chiamava catafalco, paracarro, vino da svernare. I due gol al derby hanno spostato l’asse della stagione, da lì è cambiato tutto. Si parla spesso che il calcio è uno sport di episodi. Allora eccoli qua. Scendendo dal punto di vista anagrafico c’è Sandro Tonali. Inizialmente sponsorizzato dovunque, anche per fare il sindaco nella vostra città, viene paragonato ad Andrea Pirlo perché ha la pettinatura simile e perché è partito dal Brescia come il campione del mondo. Proprio una disamina tecnica accurata e sagace.

Festa in tutta Italia per celebrare il successo di una delle squadre più titolate al mondo.

Negli ultimi mesi è tornato sulla cresta dell’onda e non perché si è ossigenato i capelli. Lo ha fatto perché ha timbrato molti gol importanti nella volata finale. Di reti ne ha realizzate anche Rafael Leão. Non proprio l’attaccante di quelli che fanno impazzire i tifosi del Milan, abituati a Van Basten, Shevchenko, Inzaghi, Weah. Non si è ancora capito se sia un numero 9 o un numero 10.

Paolo Maldini, leggenda rossonera e del calcio italiano, è il direttore dell’area tecnica.

Però solo in queste tre righe su di lui si è già involato per tre volte in porta. E se non si invola, si va in porta lo stesso con i suoi assist. Personalmente non mi fa una grande impressione vedere festeggiare Alessandro Florenzi con la maglia del Milan. Almeno per quel poco di romantico che resta nel calcio. Florenzi è romanista fino al midollo, ma è anche un professionista e per poter alzare qualche coppa, doveva andare per forza fuori dal mondo giallorosso. Avrebbe sicuramente vinto meno, ma sarebbe diventata un’altra leggenda della Roma.

Su Theo Hernandez credo di poter essere ungarettiano: è il terzino sinistro più forte del mondo in questo momento. E Mike Maignan, sconosciuto ai più quando è arrivato, potrebbe entrare nel novero dei portieri migliori che ci sono nel giro di poco tempo.