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Guido Reni in mostra alla Galleria Borghese. Rapporti tra committenti e artisti nel ‘600.

di Riccardo Bramante

Dal 1 marzo è tornato alla Galleria Borghese Guido Reni con una serie di 30 quadri aventi ad oggetto la paesaggistica e l’iconografia cristiana. L’evento si incentra sui primi anni del soggiorno romano dell’artista bolognese, qui chiamato dal Cardinale Farnese e poi passato al servizio del Cardinale Scipione Borghese.

Danza campestre – Guido Reni

Punto forte dell’esposizione è il quadro “Danza campestre”, già appartenuta al Borghese. Scomparsa misteriosamente e poi stata riacquistata dalla Galleria solo nel 2020 sul mercato di antiquariato londinese.

Il percorso espositivo prosegue con alcune opere di carattere sacro come la “Strage degli innocenti”. “San Paolo rimprovera San Pietro penitente” e “Lot e le figlie Atalanta e Ippomene” sono tra le opere esposte.

Lot e le figlie Atalanta e Ippomene – Guido Reni

Quattro monumentali pale d’altare e altre opere di artisti coevi di Guido Reni completano il percorso tra paesaggi e figure. Per terminare troviamo il magnifico affresco eseguito dal pittore bolognese per il Casino del Cardinale Borghese.

La mostra costituisce anche l’occasione per misurare la fondamentale influenza che avevano in quel periodo i rapporti tra i munifici mecenati. Soprattutto quelli della cerchia papale, legati al mondo dell’arte.

Quando Guido Reni giunse a Roma nel 1601 portava con sé un modo tutto nuovo di considerare il mestiere dell’artista. Un modo che presupponeva la condizione di piena dignità professionale in contrapposizione alla abitudine, romana e non solo, di vedere gli artisti poco più di “domestici specializzati” al servizio del signore di turno.

Pittore di corte.

Di questa tradizione feudale di potere assoluto fece le spese anche Guido Reni prima con la famiglia Farnese e poi con quella del Cardinale Borghese che volle farne il proprio pittore di corte.

Questo ruolo, se da un lato gli procurò numerose committenze non solo dal Cardinale Borghese ma anche dal Papa Paolo V, appartenente alla stessa famiglia, dall’altro lo costrinse a subire continue vessazioni e interferenze nella stessa sua concezione dell’arte tanto da spingerlo a fuggire da Roma nel 1612, insofferente di queste opprimenti interferenze.

Ma Scipione Borghese non si dette per vinto e lo costrinse a tornare a Roma per eseguire “L’Aurora” nel Casino del Palazzo del Giardino, opera talmente grandiosa da dare poi il nome all’intero Palazzo.

L’Aurora – Guido Reni

Terminato il lavoro, Guido Reni volle, comunque, tornarsene immediatamente a Bologna preferendo dipingere per ordini religiosi e professionali minori pur di mantenere quella orgogliosa autonomia di ruolo.

Fu, questo, l’inizio della nascita dell’artista moderno, considerato per le sue capacità e non per le raccomandazioni su cui poteva contare.