“Alla morte” non è solo un titolo figurativo ma è anche una presa di posizione. E questo non è solo un disco ma anche un rinascere ogni volta. Francesco Lattanzi pubblica questo suo nuovo lavoro di inediti che tanto dedica alla vita e alla guerra, alle relazioni degli uomini e, dunque inevitabilmente, al gioco delle parti, alla spiritualità… alla morte come alla vita. Disco ricco di memoria che alla guerra e alle sue lunghe testimonianze deve moltissimo come dentro il bellissimo video e singolo “Gli angeli di Horlivka” che vede anche la firma del regista bielorusso Dmitrij Dedok. E che bella l’intervista che segue…

Un disco forte. Una seconda prova. Che responsabilità affidi a questo lavoro?
Un po’ mi viene da sorridere leggendo questa domanda, perché se il mio intento fosse stato quello di suscitare uno shock, o anche più banalmente di attirare l’attenzione con questo titolo, evidentemente con il vostro staff di critici musicali e/o musicologi, ci sono riuscito.
La verità è che ho scelto un titolo forte, come dite voi, perché credo realmente che queste dieci canzoni rappresentino una specie di capolinea a cui è arrivata la società occidentale. I valori, almeno quelli che io ho appreso dai miei genitori, sin dalla mia adolescenza, stanno morendo e lasciano spazio alle peggiori aberrazioni che l’essere umano possa esprimere. Come detto in alcune interviste radiofoniche, basta accendere la tv (che non possiedo) per capire verso quale burrone etico ci stiamo dirigendo, poi il discorso potremmo amplificarlo e mi rendo conto anche che dieci canzoni non bastino a rappresentare tutta la complessità del quotidiano, ho cercato di fare un sunto di quello che ci circonda isolando alcuni temi, la guerra, il tema della violenza sui minori, l’abbandono delle persone che “non ci servono più”, la politica al servizio dei grandi e occulti gruppi di potere, l’indifferenza verso i deboli. Ribadisco, non sono un sociologo e conseguentemente a ciò non scrivo monografie, lo spazio era limitato e ho dovuto fare una scelta.

In genere le seconde prove sono critiche: l’hai vissuta come una conferma o come un cambiamento?
Il primo disco è stato un esperimento, e io da principiante, ho dovuto appoggiarmi sulle spalle di chi navigava nella musica già da anni. Ma già immediatamente dopo la pubblicazione di “Turno di notte” mi era chiaro che sarei stato chiamato a crescere. Ed io ho accettato questa sfida. E ho cercato di farlo sia sotto il profilo personale, sia sotto quello artistico. Oggi passare attraverso le seconde, ma anche terze, quarte… prove è una necessità. Non può esserci miglioramento artistico, senza quello umano. Tra conferma e cambiamento, direi che l’ho vissuta come entrambe le cose che viaggiavano insieme, tutti i cambiamenti che viviamo nella nostra vita devono tenere conto di punti fermi, e mi riferisco sempre a quei valori morali che citavo prima, da cui non possiamo prescindere e che dobbiamo tenere sempre accesi come una lanterna nella notte. Il senso della famiglia, la giustizia, l’altruismo, l’amore per il nostro lavoro, la tolleranza; io rispetto a dieci anni fa (quando uscì il mio primo album), certo che sono cambiato, ma questi riferimenti li ho sempre portati nel mio zaino.

C’è tanto richiamo del passato… un passato glorioso certamente. Che rapporto hai invece con il futuro? Pensando anche al suono…
Sì, è verissimo. E lo considero un successo, per non sembrare superbo, diciamo che lo considero una grande soddisfazione. Anche qui non solo musicale ma a trecentosessanta gradi. Più di qualche vostro collega ha fatto notare che questo album è troppo legato a sonorità “vecchie” o perlomeno a sonorità non al passo coi tempi. Quando con Gianni Ferretti, che ha arrangiato il disco, abbiamo letto quelle recensioni, c’è venuto da ridere come farebbero due vecchi amici che davanti a un bicchiere di vino ricordano le goliardie della loro gioventù. Accettiamo tutte le critiche e tutte le disamine che possono farci migliorare, ma qui i vostri colleghi non hanno colto un aspetto essenziale dell’album. E vado a fondo perché mi preme spiegare il perché di quella scelta nei suoni. Quando, un po’ di anni fa ci siamo incontrati per programmare il lavoro assieme a Gianni, Andrea Mattei (coarrangiatore del disco) e Valdo Casali (che nel disco suona la batteria), io, che ancora non avevo terminato di comporre tutte le canzoni, dissi testualmente “dovrà essere un disco di parole, ma anche di musica”. E con questo intendevo che mai avrei voluto adeguare a quei testi certe sonorità “nuove” solo perché bisognava appunto, stare al passo coi tempi. Queste dieci storie, così raccontate, non hanno bisogno di stupire sotto il profilo dell’orchestrazione, quelle parole presenti nei brani, hanno solo bisogno di essere accompagnate dalla musica e non spodestate da essa. Proprio qualche giorno fa Gianni, dopo aver letto un’altra recensione di quel tipo , mi ha detto: “Bisogna spiegare a questi signori che noi il loop e l’autotune lo sappiamo anche usare, ma se non lo abbiamo fatto c’è un motivo”. Ecco forse le sue parole spiegano bene quale fosse lo spirito a cui si ispira musicalmente “Alla morte”

I popoli. Ovviamente pensiamo alla guerra e il video de “Gli angeli di Horlivka” la dice lunga. Qual è la tua visione sui popoli di questo tempo?
È un discorso che ci porterebbe lontano e ad analizzare tanti aspetti della società moderna. Non è riassumibile in poche righe. Sono tre le canzoni di questo disco dedicate al tema della guerra, in particolare alla cosiddetta “Campagna italiana di Russia”. E’ un tema storico che mi ha sempre affascinato e che ho cercato di studiare bene prima di iniziare a scriverci sopra qualcosa. Il video che avete citato funge da collegamento tra quei lontani eventi bellici e l’attuale conflitto iniziato in Donbass nel 2014. I media occidentali hanno ignorato e silenziato quella tragedia lunga otto anni, e lo hanno fatto solo per servilismo verso alcuni poteri forti. Per me le morti di allora sono identiche a quelle di oggi. Non faccio distinzioni. Ho iniziato a scrivere questa canzone nell’estate del 2014 e l’ho terminata nell’autunno del 2016. Il brano è dedicato a Kira e Kristina Zhuk, 11 mesi la prima, 24 anni la seconda, vittime del bombardamento avvenuto il ventisette luglio del 2014 a Gorlovka (Horlivka in ucraino) da parte dell’esercito ucraino che colpiva i suoi stessi connazionali in una tranquilla domenica estiva, mentre quelli passeggiavano nei parchi, andavano in chiesa o si incontravano nelle piazze. Poi non contento sono volato in Bielorussia e con il regista Dimitri Dedok, abbiamo deciso di girarci un video. Tutto ciò che si vede nel video è un recupero in termini di attrezzature, location e materiale della seconda guerra mondiale. Abbiamo in sostanza collegato questi eventi distanti nel tempo, uniti dalla tragedia della guerra. La mia visione sui popoli e sulla guerra. Che opinione si può avere quando qualcuno schiavo delle lobby delle armi, o per differenti interessi economici e/o politici inizia un conflitto ? O quando un popolo odia visceralmente un altro popolo ? Credo che tutto rientri in quella morte dei valori a cui si ispira questo disco.

E che cosa davvero porta l’ispirazione principale e la ragione di questo disco?
Qualcuno, mi ha fatto notare che in queste canzoni non sente solo odore di “morte” ma anche un aroma di rinascita e di catarsi. Ed è vero. Sarei stato e sarei un masochista se avessi scritto canzoni solo di condanna e mi fossi fermato lì. Contrariamente a tante persone che vedono sempre grigio attorno a sé, sono il tipo che preferisce il bicchiere mezzo pieno, ma per riempire l’altra metà del bicchiere, dobbiamo avere ben presenti quali sono le nostre colpe, i nostri limiti, i nostri errori, altrimenti ci ricadiamo sempre dentro, sistematicamente; vedi appunto, guarda caso, il discorso sulla guerra.