“Frondi tenere e belle del mio platano amato per voi risplenda il fato. Tuoni, lampi, e procelle
non  mai la cara pace, né giunga a profanarvi austro rapace. Ombra mai fu di vegetabile, cara ed amabile, soave più.”

E’ l’inizio del “Serse”, il celeberrimo “Larghetto”, ovvero uno dei brani più conosciuti del grande Georg Friedrich Handel, e più famosi in assoluto nella storia della musica.

Questi versi (recitativo iniziale, seguito dall’arioso “Ombra mai fu”, cantato) vengono pronunciati da Serse stesso, che si volge ad un platano: scena che apre l’opera. E’ ambientata in Persia (oggi Iran) nel 480 a.C. e si ispira al re persiano Serse, pur se fatti e vicende non corrispondono alla storia vera, se non assai lontanamente. Il libretto fu scritto in italiano, da ignoto, adattandolo ed ispirandosi a due precedenti Serse, scritti e musicati nella seconda metà del 1600.

L’epoca storico-musicale in cui “Serse” fu composto, era quella dei cantori evirati (di cui ho parlato diffusamente in un mio precedente articolo). La parte del protagonista fu quindi concepita per un soprano castrato. Oggi viene eseguita da cantanti sopranisti oppure da un mezzosoprano o un soprano.

La prima rappresentazione avvenne a Londra il 15 aprile 1738 e fu un solenne fiasco. L’autore, infatti, scelse di inserire elementi comici in un’opera seria. Ciò fu aspramente criticato dai melomani del tempo che giudicarono la mescolanza di personaggi e situazioni popolari con la vita dei nobili un grave difetto di stile.

Handel inoltre, contrariamente alle consuetudini a lui contemporanee, preferì arie brevi e di più alta qualità musicale. Ciò determinò un altro motivo di pesante critica da parte della maggioranza del pubblico di allora.

Il melodramma dei primi del 1700, infatti, dava grande spazio al virtuosismo canoro  seguendo il gusto barocco per la spettacolarità estrema ed il bisogno di stupire ad ogni costo. Le arie eseguite dai “divi” di allora erano quindi esageratamente lunghe e, il più delle volte, non attinenti alla storia rappresentata.

Si trattava delle cosiddette “arie di baule” ovvero appartenenti al repertorio personale di ogni cantante e indipendenti dal personaggio al momento interpretato. In sostanza, per un certo periodo, andare ad assistere ad un’opera lirica significava quasi esclusivamente ascoltare acrobazie vocali di “star” strapagate, capricciose, viziatissime e megalomani. Cosi, per le scelte del suo compositore, Serse rimase fuori dalle scene per circa duecento anni.

Fu riproposto solo nel 1924, a Gottinga e, da allora, conobbe un crescente successo, tanto da divenire il melodramma più famoso di Handel, dopo il “Giulio Cesare”. Guarda caso, proprio per quelle caratteristiche che ne determinarono il rifiuto a quei tempi, e che risultano invece particolarmente gradite ed apprezzate dal gusto moderno.

D’altra parte Handel rappresentò del Barocco l’anima concreta ed esuberante, amante del presente ma avida di modernità, mondanità, successo. Tutte caratteristiche molto attuali. Egli studiò a fondo l’arte musicale italiana, assorbendone lo stile, soprattutto nell’ambito teatrale. Imparò a sfruttare i colori e le sonorità dell’orchestra di allora. Seppe fondere mirabilmente il gusto polifonico inglese con la cantabilità italiana.

Mentre il suo gigantesco collega contemporaneo, J.S.Bach, fu l’espressione mistica ed introversa di quell’ affascinante epoca, Handel ne manifestò lo splendore e la magnificenza esteriori, senza tuttavia venir meno ad una corposa sostanza costituita da ricchezza di contenuti e di forma compositiva.

Personalmente lo adoro ma di certo, a prescindere dai miei gusti, “Ombra mai fu” (e sarà) su questo meraviglioso compositore!

Di Rima