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L’arte di Fabio De Vincente, definito “l’aristocratico di strada”, racchiude quello che è stato ed è il suo stile di vita.

“Vincente” è il suo nuovo lavoro discografico, un progetto impossibile da collocare in un unico filone di genere; si tratta di un racconto autobiografico sincero attraverso le canzoni. Rivolto al main stream è l’esempio perfetto di un crossover moderno, dove il piano è uno degli strumenti più presenti insieme alla scelta di groove tematici.

In lui c’è sempre stata una parte aristocratica, fatta di eleganza e raffinatezza ed un’altra innegabile del ragazzo di strada fatta di eccessi e indisciplina. Ha il vissuto giusto per cantare quelle parole che solo chi vive certe esperienze può permettersi di scrivere e raccontare.

La sua capacità compositiva, le melodie immediate, la sostanza testuale, il suo pianismo e la cura degli arrangiamenti fanno di lui un musicista completo. Inoltre, grazie alla sua versatilità da polistrumentista, ha inserito parti di batteria, chitarra, percussioni, tastiere, voci, effetti, ricercando sempre un’originalità del suono. Tre cose lo caratterizzano: eleganza, vita rock ed estrema semplicità del suo linguaggio ficcante.

Ecco l’intervista che ha rilasciato a noi di Seven News Italia!

Com’è nata la tua passione per la musica e quali sono gli artisti che hanno maggiormente influenzato il tuo percorso artistico?

Che non fosse una semplice passione lo si percepiva sin da piccolo quando a chi mi chiedesse cosa volessi fare da grande rispondevo il musicista.

Inevitabilmente sei influenzato da ciò che ascolti e ti piace anche se non ho mai avuto idoli. Ho imparato tanto dai grandi cantautori come Renato Zero, Claudio Baglioni, Lucio Dalla, Eros Ramazzotti, Antonello Venditti, Vasco, Gino Paoli, Zucchero e molti altri, artisti italiani del passato come Domenico Modugno, Fred Buscaglione, amo Pavarotti, dalle immense band internazionali come i Qeen, U2, Police, Dire Straits, Rolling Stones, AC/DC, dai Coldplay, adoro i gruppi anni 70′ come Earth wind & Fire, Chic, Chicago, Toto, Supertramp e poi Ray Charles, Cheryl Lynn, Aretha Frenklin, Etta James, James Brown, Elvis, Jerry Lee Lewis, Chuck Berry, Joe Cocker ho ascoltato molto Barry White, Sting, Michael JacKson, Whitney Houston, mi fa impazzire Frank Sinatra, amo molto il jazz e il pianismo di Keith Jarret, Bill Evans, la tromba di Chet Baker e le grandi opere dei classici come Puccini, Verdi, Strauss, Chopin, Beethoven, Tchaikovsky, mi gasa tantissimo l’house suonato e cantato (cosa che ho fatto nei club per diverso tempo), e poi Jhon Legend, Alicia Keys, insomma potrei riempire pagine intere con tantissimi artisti e altri generi che non ho citato ma se devo dirvi qual’è il massimo per me è Ennio Morricone.

Quando hai iniziato a sentire la necessità di raccontare la tua vita in musica?

A 11 anni ho iniziato a scrivere le mie prime canzoni e da lì ha preso forma il senso della mia esistenza, quasi un’ossessione.

Qual è il tuo primo ricordo legato alla musica?

Il mio primo ricordo nitido è a 5 anni quando a Natale mi regalarono una tastierina semi-giocattolo della Bontempi, e il giorno successivo, quello del mio compleanno mi suonai e cantai “Tanti auguri” e “Oh When The Saints Go Marching In”.

Parliamo del tuo nuovo disco. C’è un filo conduttore che lega le tracce della tracklist?

È inevitabile quando racconti senza filtri la tua vita in canzoni.

C’è un brano a cui sei particolarmente legato o che ha avuto una gestazione emotiva più complessa?

È come chiedere ad un genitore qual è il suo figlio preferito. Ogni canzone ha una storia a se e nascono tutte in modo diverso. Alla base c’è sicuramente l’esigenza di raccontare in musica, esperienze, aneddoti, aspirazioni, ambizioni, analisi, emozioni e sensazioni di quello che ho vissuto, sperando che la persona che ascolterà quelle canzoni si ritrovi in quello che ho scritto e come l’ho scritto per poterle condividere insieme.

Come artista, quanto è importante la ricerca e la sperimentazione di nuove sonorità?

È importante trovare la propria identità sonora ma ricordiamoci sempre che se una canzone funziona piano/chitarra e voce vuol dire che sta in piedi con qualsiasi tipo di arrangiamento. È lì la vera ricerca, nel mio caso maniacale. Il suono ha determinate caratteristiche legate anche ai tempi e le mode in cui siamo certo è che un artista maturo ha un suo linguaggio personale sia testuale che melodico e questo lo fa di lui unico e riconoscibile.

Qual è l’insegnamento più importante che hai appreso fino adesso dalla musica?

Di avere una ragione di vita. D’essermi ritrovato quando mi sono perso grazie a lei. Di essere pronto a rischiare tutto pur di continuare a farla.

Qualche novità che vuoi condividere, in anteprima, con i nostri lettori?

Tornerò in primavera in studio per registrare brani nuovi, intanto tra circa un mese sarà il momento di un altro singolo dell’album “Sempre gli stessi” e nell’immediato spero di avere opportunità per tornare a calcare più palchi possibili.