Intervista a Daniele Cellamare, in occasione della prossima uscita del libro “Afghanistan – Il paese dilaniato” edito da Les Flaneurs Edizioni.

di Ester Campese

Daniele Cellamare è nato nel 1952 e si è laureato in Scienze Politiche all’università Luiss. È docente presso la Sapienza di Roma e il Centro Alti Studi della Difesa. Autore di numerose pubblicazioni di storia contemporanea, collabora con Rivista Militare e altre testate nazionali. Vive a Roma ed è appassionato di studi sulla storia militare.

Esce il prossimo 15 gennaio 2022, pubblicato da Les Flaneurs Edizioni, il quarto volume dei quaderni geopolitici, dal titolo Afghanistan – Il paese dilaniato”. La collana curata proprio da Daniele Cellamare, vede dedicato questo nuovo testo al “cuore del mondo”, l’Afghanistan, dal complicato mosaico etnico. Autori di questo libro sono: Gregory Marinucci, Ilaria De Napoli, Federica De Paola, Antonella Palmiotti e Massimiliano Nima Lacerra.

Daniele Cellamare

Si legge nella sinossi di “Afghanistan – Il paese dilaniato – Il fragile sistema socio-politico che da sempre ha costituito l’architettura statale dell’Afghanistan è venuto drammaticamente a mancare con la crisi scoppiata nell’estate del 2021. Il repentino ritorno al potere delle milizie talebane ha prodotto una sorta di terremoto geopolitico che oggi lascia intuire una difficile e complessa ricomposizione delle dinamiche e dei rapporti multilaterali nell’intero continente asiatico. A rendere più precaria la ricomposizione nazionale, così come la nascita di un nuovo ordine regionale, anche il timore di una proliferazione del terrorismo jihadista e gli interessi dei grandi attori regionali nel quadrante afghano. 

Incontriamo per Seven News Italia, Daniele Cellamare, curatore della collana Doctis Ardua edita da Les Flaneurs Edizioni, cui rivolgiamo alcune domande per saperne di più, iniziando a chiedergli come nasce l’idea di curare e pubblicare la collana?

La nostra associazione Doctis Ardua è nata anni fa per redigere saggi geopolitici di attualità. Con i miei studenti della Sapienza di Roma abbiamo sempre cercato di affrontare aree particolarmente critiche e di  

Veniamo all’ultima pubblicazione. L’Afghanistan è un tema internazionale doloroso, ritornato tristemente alla ribalta ad agosto del 2021, momento in cui, dopo 20 anni di guerra, è stata nuovamente ripresa dai talebani. Un Paese che si trova nuovamente a fronteggiare un futuro con molte incognite. Il suo libro spiega al lettore quanto accaduto?

Si, il volume ripercorre la storia di questo paese sin dai tempi dell’occupazione sovietica – quindi con la nascita di movimenti prima indipendentisti e in seguito rivoltosi – e ritengo che siano stati forniti tutti gli strumenti necessari per una informazione più completa degli avvenimenti recenti.

Assistiamo quasi inermi a crisi umanitarie e sociali ricorrenti di questo Paese, da troppo tempo alle prese con insicurezza, sfollamento e povertà diffusa. Sembra che sia stato abbandonato dal resto del mondo. Si spiega nel libro come e perché l’America ha deciso di “concludere” la sua missione? 

Come accennavo, il volume traccia chiavi interpretative del più generale fenomeno Afghanistan, dalle rivalità tribali sino ai contenziosi sociali e politici. Le analisi offerte guidano il lettore verso la comprensione di alcuni aspetti che a prima vista possono apparire oscuri.

Molti credono che a scatenare la crisi sia stato l’attentato delle Torri Gemelle avvenuto l’11 settembre del 2001, ma in realtà già dal 1994 l’Afghanistan fu teatro di una cruenta guerra civile. Possiamo trovare nel libro un tracciato storico di quanto accaduto in questo territorio?

Sicuramente. La guerra civile afghana è trattata in maniera completa, dai profili politici delle figure di rilievo, come quelle di Rabbani e Massoud, sino all’ascesa delle milizie talebane con la conquista di Kabul nel 1996.

Nel Paese convive un crogiolo di diverse etnie. La più tradizionalista, collocata a sud, è quella dei Pashtun. Proprio nel sud, a Kandahar, nascerà la milizia Talebana. Sono i più radicali, quelli che imporranno alla popolazione uno spietato regime repressivo con perdita di diritti, in particolare per le donne. C’è una via, oggi, per una possibile ricomposizione della situazione? 

L’etnia Pasthun segue da sempre un particolare codice religioso, addirittura pre islamico, fortemente orientato al senso dell’onore. Con una popolazione stimata in circa 40 milioni, i Pasthun rappresentano l’ala più intransigente del movimento talebano e toccherà a loro cercare una ricomposizione sociale e politica del Paese.

I Talebani si sono evoluti nelle loro capacità comunicative sia nel linguaggio che nell’utilizzo dei mezzi come i social. Aspirano al riconoscimento internazionale allargato. Ma si può sperare davvero in nuovi equilibri geopolitici dove Cina (con cui da un lato confinano), Russia, Europa, possano davvero “trattare” con questo nuovo regime?

E’ indubbio che le capacità comunicative di questo movimento si siano evolute nel tempo e oggi il loro riconoscimento internazionale, benché osteggiato dalla frange più intransigenti, rimane l’unica possibilità per ottenere i vantaggi economici a cui aspirano per il benessere e la sicurezza del territorio. Le grandi potenze occidentali hanno già iniziato a tessere una rete diplomatica per ottenere soluzioni in linea con i loro interessi salvaguardando il rispetto dei diritti umani.