Fino al 26 marzo 2023 a Palazzo Bonaparte il genio smisurato di Vincent Van Gogh

di Sebastiano Biancheri

Dall’8 ottobre 2022 e fino al 26 marzo 2023 le splendide sale del Palazzo Bonaparte di piazza Venezia a Roma ospitano su due piani la più attesa mostra dell’anno, quella dedicata al genio smisurato di Vincen Van Gogh (1853-1890) nella ricorrenza ormai prossima dei 170 anni dalla nascita. Curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti e prodotta da Arthemisia, è stata realizzata in collaborazione con il Kröller-Müller Museum di Otterlo, con il patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Lazio, del Comune di Roma – Assessorato alla Cultura e dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi.
Comprende 50 opere custodite presso il Kroller- Muller Museum di Otterlo (Paesi Bassi). Tra il 1907 e il 1939 Helene Kroller- Muller acquistò insieme al marito Anton Kroller quasi 11.500 opere d’arte, realizzando una delle più grandi collezioni private del Novecento. Helene nel 1938 coronò il suo sogno di una ‘casa museo’ da donare alla collettività, un monumento culturale, un museo vivo, palpitante, aperto a tutti, nell’intento di condividere con gli altri il suo amore per l’arte. Dopo aver preso lezioni dall’influente pedagogo e critico H.P. Bremmer, viene attratta dalla spiritualità di un mondo a lei sconosciuto e comincia ben presto ad apprezzare le opere dei pittori emergenti tra cui Vincent Van Gogh. Grazie agli ingenti fondi messi a disposizione dall’azienda del marito, inizia l’acquisizione di opere di dipinti, disegni, porcellane, sculture che diventerà nel tempo una raccolta vasta ed eterogenea e comprenderà anche opere del 500 e del 600. La sua volontà era quella di documentare ed illustrare l’evoluzione artistica dal realismo all’idealismo a partire dalla metà dell’800. Sopra ogni altro ammira Vincent. L’epica racchiusa nell’umanità sofferente che ritrae, il realismo disperato che emerge dalle tele dell’artista conforta Helene che riconosce in lui lo stesso tormento, la stessa inquietudine che la pervade e trova consolazione e pace solo dinanzi a quella sublime espressione estetica. I 91 dipinti e i 180 disegni da lei acquistati formano il nucleo attorno al quale ruota questa collezione che è la seconda più grande al mondo.
La mostra di Palazzo Bonaparte presenta 40 opere del pittore olandese fra dipinti e disegni; numerosi i lavori su carta che raramente vengono esposti al di fuori del museo. Oltre ai Van Gogh, si possono ammirare sei opere risalenti ad epoche diverse: capolavori di Lucas Cranach il Vecchio, Henri Fantin-Latour, Pierre Auguste Renoir ( Au café, 1877), Floris Verster (Ritratto di Helene Kroller-Muller, 1910), Paul Gauguin (Atiti,1892) e Pablo Picasso (Ritratto di giovane donna (La madrilena),1901).
Il percorso espositivo della mostra si snoda in cinque sezioni di cui la prima è un omaggio alla illustre filantropa Helene Kröller-Müller e le successive corrispondono alle fasi temporali più significative della vita di Van Gogh: dal periodo olandese al soggiorno parigino, a quello di Arles, fino a St. Remy e Auvers-Sur-Oise, dove concluse la sua tormentata esistenza.
Il periodo olandese è racchiuso negli anni che vanno dal 1853, quando nacque a Zundert, nel Brabante, primo figlio di un pastore protestante, fino all’inizio del 1886. Nel 1857 nasce il fratello Theo e nel 1569 parte per L’Aja, dove viene assunto come giovane commesso presso la casa d’aste francese Goupil&Cie. Tra il 1873 e il 1876 si divide tra Londra e Parigi. A Montmartre visita musei ed esposizioni. Nel 1877 si iscrive alla facoltà di Teologia ad Amsterdam ma non diventerà mai predicatore. E’ solo nel 1880 che decide di dedicare la sua vita alla pittura. Dominata inizialmente da un disegno animato da tratti di colore, presto si arricchisce nell’uso dell’olio adoperato in toni scuri capaci di creare un clima di ‘realismo spiritualizzato’. Prevalente è l’amore per la terra ed il rispetto religioso verso il duro lavoro dei campi, le fatiche delle attività domestiche. Il suo crudo realismo è illuminato dall’amore per gli umili protagonisti di un mondo di sofferenza in cui si riconosce: contadini, tessitori, boscaioli. Un clima incontaminato, puro, legato al senso del dovere, delle tradizioni arcaiche, dove la fatica diviene epica, nobile, necessaria. Nel 1881 si trasferisce dai genitori ad Etten e si dedica a disegnare instancabilmente la realtà che lo circonda, soprattutto contadini e paesaggi agresti. Tra le opere presenti alla mostra: ‘Donna che pela patate’(1881),’Seminatore’(1881), ‘Natura morta con cappello di paglia’(1881), ‘Vecchio che soffre’(1882), ‘Contadini che piantano patate’(1884), ‘Tessitore con telaio’(1884), ‘I taglialegna’(1883-1884), ‘Testa di donna’(1884-1885),’Contadine che raccolgono patate’(1885), ‘I mangiatori di patate’(disegno 1885). Fra le varie lettere al fratello Theo esposte in mostra, ce n’è una del 21 luglio 1882 che riproducela sua estrema sensibilità:’ Chi sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico o sgradevole…Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno’. Nel 1885 muore il padre. Dipinge ‘I mangiatori di patate’. A novembre si trasferisce ad Anversa e il 18 febbraio 1886 si iscrive all’Accademia di Belle Arti.
Alla fine di quello stesso mese raggiunge inaspettatamente il fratello Theo a Parigi. Ha inizio il fervido periodo parigino, dal febbraio del 1886 al febbraio del 1888, quando viene a contatto con il clima artistico di quella città e con personaggi come Émile Bernard, Toulouse-Lautrec e Loius Anquetin. Non tornerà più in Olanda. Theo trova che i colori nei dipinti del fratello sono troppo cupi e lo incoraggia ad usare toni più chiari e luminosi, come quelli degli impressionisti Vincent si giustifica ricordando che i maestri olandesi del 600 usavano grandi quantità di nero. In seguito, a Parigi si ricrede e adatta la sua tavolozza alle nuove tendenze. Van Gogh in Olanda usava il colore in modo imitativo e adotta la palette tonale, basata sulle terre, come quella di Rembrandt: una tavolozza pratica, dice, con colori essenziali. In Francia passa dal colore imitativo al colore evocativo. Utilizza colori molto saturi, ma, a differenza dei Neoimpressionisti, non rinuncia al nero. Preferisce i colori macinati a mano perché quelli più raffinati appaiono meno brillanti. Tra le tele di Palazzo Bonaparte: ‘La collina di Montmartre’(1886), ‘Interno di un ristorante’(1887). A Parigi realizza venticinque degli oltre quaranta autoritratti. C’è in lui il desiderio di autorappresentarsi che denota la volontà di lasciare una traccia di sé. Quello esposto a Roma a fondo azzurro con tocchi verdi è del 1887. E’ realizzato con pennellate spesse, lo sguardo diretto, penetrante, insolitamente fiero. I rapidi colpi di pennello e i tratti di colore stesi l’uno accanto all’altro. La sua palette evolve con la sua arte e ad Arles dipinge con più di 14 pigmenti diversi che si fa arrivare da Parigi. Inserisce tre gialli di cadmio per ottenere i particolari effetti di luce colorata e torna ad utilizzare le terre per creare tinte intermedie e nuovi schemi cromatici.
La Quarta sezione è dedicata ad Arles. Stanco della vita frenetica di Parigi, parte per Arles, nel sud della Francia. Il periodo di Arles è molto breve perché compreso dal 1888 al 1889 ma influenzato dalla genialità di Monet e Signac e dai colori mediterranei. Presenti a Roma: ‘Il seminatore’(1888), ‘Cesto di limoni e bottiglia’(1888), ‘Natura morta con un piatto di cipolle’(1889),’L’amante’- ritratto del sottotenente Milliet(1888), ‘Paesaggio con covoni e luna nascente’(1889). Nell’ ottobre 1888 lo raggiunge Paul Gauguin. Il 23 dicembre ha la prima crisi che lo porterà a tagliarsi un orecchio, indotto forse dal comportamento arrogante del pittore amico e rivale che aveva deciso di abbandonarlo per rifugiarsi a Tahiti e infrangendo il suo sogno di fondare nel sud della Francia una associazione di pittori che perseguissero un’arte nuova. Verrà ricoverato presso l’ospedale di Arles.
Infine la Quinta sezione Saint-Rémy-de-Provence e Auvers-sur-Oise (maggio 1889 – luglio 1890). Sono gli ultimi anni della sua vita caratterizzati dal peggioramento delle sue condizioni mentali. Entra volontariamente nell’ospedale psichiatrico Saint Paul de Mausole vicino a Saint Rémy in Provenza. Continua a lavorare con grande intensità, alternando crisi a momenti di lucidità. Presenti in mostra: ‘Il giardino del manicomio a Saint-Rémy’(1889), ‘Il burrone(Les Peiroulets)’(1889), ‘Il seminatore(da Millet)(1890), ‘Vecchio disperato(Alle porte dell’eternità)(1890). Nel gennaio 1890 ottiene i primi riconoscimenti. Espone i suoi lavori alla mostra “Les XX” a Bruxelles. A marzo partecipa all’esposizione “Les indépendants” a Parigi. A maggio lascia Sait Rémy per Parigi, ma dopo tre giorni riparte per Auvers-sur-Oise dove il 27 luglio si spara al petto. Morirà dopo due giorni, a soli trentasette anni.
Pochi anni dopo la sua morte muore anche il fratello Theo che lascia la giovane moglie Johanna Bonger e un bambino di pochi mesi che porta il nome dello zio. Sarà lei, con lungimiranza e insospettato spirito imprenditoriale, a valorizzare nel tempo l’enorme eredità artistica di Vincent realizzando importanti progetti e individuando con estrema cura le collezioni pubbliche più prestigiose a cui destinare i capolavori del grande, sventurato pittore fiammingo.