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Confessioni di un malandrino. Autobiografia di un cantore del mondo.

Per chi ama il mondo incantato di Angelo Branduardi, questo libro da poco pubblicato da Baldini+Castoldi dal titolo Confessioni di un malandrino. Autobiografia di un cantore del mondo, è una ghiotta occasione.

E bene ha fatto il musicista e scrittore Fabio Zuffanti – in veste di coautore – a trasformare la lunga intervista in una sincera autobiografia, impastando con coerenza narrativa l’uomo e l’artista Branduardi. Lasciando intatta l’umiltà del primo e la magia del secondo.

Confessioni di un malandrino

In questa autobiografia – che vanta anche la prefazione di Stefano Bollani – il trovatore Branduardi, ci accoglie così su un immaginario palco, ci fa accomodare per terra e ci porta per mano nel suo universo.

A partire dalla sua infanzia, povera ma dignitosa, figlio di una comunissima famiglia proletaria di Cuggiono, durante la quale giunge improvvisa l’illuminazione: il violino. Uno strumento, l’anima e la corda, scoperto grazie al maestro Augusto Silvestri.

L’adolescenza di Angelo è invece a Genova – dove si trasferiscono per il lavoro di suo padre – con la frequentazione del conservatorio e l’incontro, fondamentale, con il poeta Franco Fortini. A lui Branduardi dedicherà l’album Domenica e lunedì.

La vita del giovane Angelo si dipana tra varie scoperte musicali: i cantautori francesi, su tutti Mustakì, quindi De Andrè e la passione smodata per i Rolling Stone, da lui considerati «meno sofisticati e più ruvidi» dei pur amati Beatles. Che ironia, lui che sarebbe diventato un musicista raffinatissimo!

Branduardi, appassionato di sigari e della buona tavola, è un timido con la voglia si salire sul palco. «Spesso l’uomo e il musicista non coincidono» dichiara. E per fortuna, aggiungiamo noi.

L’anno 1972: approda alla RCA e conosce Luisa Zappa, poi sua moglie.

Ecco così che nel 1972 approda in RCA e dopo aver conosciuto Riccardo Michelini, incide un album mai pubblicato perché considerato poco commerciale. Quello stesso anno nella sua vita entra, per mai più uscire, Luisa Zappa, che diverrà sua moglie e sublime paroliera delle sue canzoni.

Grazie a un’insperata collaborazione con il compositore e arrangiatore inglese Paul Bukmaster, folgorato dalla sua musica, si materializza il primo disco nel 1974: Angelo Branduardi.

Quindi i dischi successivi, un crescendo di bellezza e successo mondiale: La luna, e dopo il passaggio alla Polydor, Alla fiera dell’Est, La pulce d’acqua e Cogli la prima mela. Vere e proprie perle musicali.

Ma Branduardi è un artista coerente e controcorrente, che alla strada semplice della musica commerciale, preferisce quella più ardua della sperimentazione.

E come capita a tutti gli artisti, i risultati non saranno sempre positivi: all’eccelso Branduardi canta Yeats, segue il meno riuscito – per colpa di troppe campionature elettroniche – Pane e rose.

Senza dimenticare le incursioni nel grande schermo con le colonne sonore State buoni se potete, Momo e Secondo Ponzio Pilato, Branduardi riesce a regalarci altre chicche come il minimalista Il ladro o Si può fare, dal sapore più americano.

E via via, dal progetto Futuro Antico (otto dischi), Il dito e la luna, che suggella la collaborazione con il suo grande amico Faletti, L’infinitamente piccolo (altro insperato successo commerciale, interamente dedicato a San Francesco), fino alle ultime produzioni che si chiudono con l’ambizioso ma riuscitissimo progetto ispirato all’opera di Ildegarda di Bingen, dal titolo Il cammino dell’anima.

Branduardi straordinario artista e anima fragile

Come in queste bellissime pagine viene confermato, Branduardi è sì inarrivabile cantore, ma è anche umano e fragile. Così durante la pandemia, arriva per non lasciarlo, almeno per un po’ di tempo, l’ospite inatteso, il Sole Oscuro, come lo definisce lo stesso cantautore. La depressione.

E qui viene fuori l’essenza dell’uomo umile. Branduardi ci racconta – descritte dall’abile Zuffanti, sempre in punta di piedi – le sue debolezze e le sue paure con purezza, senza fronzoli, esattamente come la sua musica.

Il libro si conclude con un messaggio positivo: dalla depressione si può uscire. Basta volerlo. Il trovatore è tornato, e noi non vediamo l’ora di applaudirlo con l’incanto di sempre.