di Ester Campese

Carlo Verdone, con la sua verve, a braccio e tanta spontaneità, racconta come secondo lui sia cambiata la fruizione dell’immagine da parte dei giovani ed il mondo del cinema. Il cambiamento imposto anche dalla pandemia ha fortemente limitato l’accesso alle sale cinematografiche, che resta comunque il tempio dell’immagine, un luogo sacrale.

Queste le prime parole di Carlo Verdone al seminario dello scorso 18 gennaio, organizzato da Treccani Scuola. Tocca tanti temi e sottolinea come oggi il cinema, per i giovani, stia dentro casa, sul telefonino o sul PC, con le serie televisive. Resta però sempre saldo il fascino della sala per il pubblico di “mezza età”, pubblico che conta e che predilige ancora il cinema d’autore.

Secondo Verdone le piattaforme sono una grande novità che offrono diverse cose buone, dalle sceneggiature allo spazio per gli attori, seppur sente il venir meno di quell’artigianalità propria del cinema. Le due anime dell’intrattenimento attuale possono però convivere, non sono in contrasto. Si potrà magari fare il lancio di un film al cinema e poi la pubblicazione successiva sulle piattaforme.

Quello che serve in questo momento, sottolinea, sono i prodotti di alta qualità, sia che si parli di una commedia, che di un film di denuncia ma è necessario siamo prodotti di qualità.

Nulla resta eterno, si sa e persino questa nuova frontiera delle piattaforme già si stanno adeguando e cambiando. Ad esempio la durata delle serie che prima per consuetudine era di dieci puntate oggi è stata compressa. Si è compreso, seguendo gli “algoritmi”, che il numero di puntate oscilla tra le sei e le otto, quindi si propende per delle mini serie.

Verdone, racconta poi come lui stesso si è adeguato, con qualche iniziale titubanza, al digitale accettato di girare la serie televisiva “Vita da Carlo”, distribuita da Prime Video. Un’idea vincente se pur, confessa, il lavoro più faticoso di tutta la sua carriera.

Il cambiamento lo racconta così come lui stesso lo ha vissuto e dai suoi esordi ad oggi racconta come non sia cambiata solo la strumentazione che si utilizza ma anche la tecnologia. Si sono create anche nuove figure come il color corrector in post produzione. Nei primi anni ’60 si facevano film sperimentali undergroud, ripresi con la super 8 con cui anche Verdone iniziò a fare i primi esperimenti. Oggi si può anche iniziare una carriera con un I-Phone, ma è più approssimabile ad un hobby, non certo al professionismo. Per fare seriamente questo lavoro, senza cultura cinematografica, dice Venrdone, non si può andare da nessuna parte.

Tocca anche il tema della condivisione e dell’aggregazione che oggi ha subito un radicale cambiamento e che la pandemia ha accelerato ed enfatizzato. Lo scambio avviene sui social con un pubblico eterogeneo che alla fine può risultare dispersivo. Prima invece si andava al cinema e alla fine dello spettacolo ci si accedeva una sigaretta e si commentava ciò che si era visto, dando ognuno la propria interpretazione. E’ importante l’aggregazione con amici che abbiamo le stesse passioni, con cui hai qualcosa da dire e con cui condividerle, creando un gruppo che poi si mette in movimento, insieme.

Ai giovani sente di ribadire quanto sia importante avere una base culturale del passato. Restando in tema cinematografico, come sia necessario conoscere i film dei grandi Maestri come Fellini o di Visconti che hanno raccontato la storia del nostro Paese forse meglio rispetto a certi libri. La dolce vita ad esempio ha fotografato perfettamente l’aspetto sociologico di una città che approcciava al boom economico.

Nutrirsi di questa storia, della cultura, aiuta a sviluppare il gusto estetico e quello critico, ad approfondire, a sentirsi coinvolti. Regala poi alcuni aneddoti personali ricordando come suo padre sia stato un grande professore, amato da tutti, che non bocciava nessuno. Uno dei pochi fu proprio Carlo, giustificandosi perché non rispondeva, per cui lo bocciò. La prerogativa del Professor Mario Verdone è che saèeva appassionare e non annoiava mai. Un uomo, ricorda Carlo con affetto, dal quale imparare sempre qualcosa anche solo guardando come lavorava. Ecco questo è il segreto: appassionare non annoiare, saper coinvolgere. Parole semplici ma non facili da applicare.

Conclude auspicando che i ragazzi possano recuperare quanto nel corso della pandemia abbiano perso, a maggio ragione che la famiglia oggi sta implodendo e per cui la figura dell’insegnante diventa ancora più importante. L’insegnate Verdone pensa sia il lavoro più bello del mondo, perché allena i ragazzi alla vita, al futuro.

Conclude con una battuta: Mi sono accorto che mentre parlo imparo da voi, ma anche da me stesso.