Legna per l’inverno è un’espressione immortale, quanto di più semplice ed evocativo ci sia per restituire potenza alle piccole cose, in una vita ormai obesa di superfluo e di inutile. L’estetica di una casa ha un peso marginale. Quello che conta è il centro di noi stessi, l’essenziale, quel tanto caro ingrediente assai invisibile agli occhi. Poi agli arredi possiamo concedere spazio come vogliamo. “Legna per l’inverno” è il titolo di un disco che dunque sa fare tutto questo. Francesco Verrone ci regala un ascolto che va davvero sottolineato con cura. E noi proviamo a farlo ora, in questa splendida intervista…

Verrone e il suo disco d’esordio. Ma in fondo Verrone è il suo disco d’esordio? Oppure è solo una delle tante manifestazioni di ciò che sei?
Amo il concetto degli album intesi alla vecchia maniera, contenitori di canzoni affini per genesi, ambito, linguaggio. Questi pezzi sono stati scritti in viaggio e le tematiche che vi ho ritrovato dentro sono tutte adiacenti: solitudine, compagnia, silenzio, dialogo, malinconia, conforto. È la cristallizzazione di uno specifico periodo con quello che comporta, ed è il primo ma soltanto in ordine temporale. La stanza di una casa che andrà componendosi nel tempo disegnando altri ambienti.

Mi piace questa copertina: si capisce ma forse molto si lascia intuire. Non rendere ovvio mai… o sbaglio?
Una volta scelte le canzoni del disco mi sono reso conto che davano tutte un senso di incompiuto. La verità non è mai una conquista facile e ogni panorama è visto in controluce. Quando mi sono imbattuto in queste fotografie le ho trovate perfette per comunicare con immagini quello che i brani raccontano in musica. Sono di Laura Zimmerman, un’artista statunitense che utilizza una tecnica chiamata ICM (intentional camera movements) per deformare i contorni durante dello scatto. Il risultato è qualcosa di dinamico, sospeso, come l’atmosfera dei pezzi.

Chi c’è dietro il suono? E come ha dialogato con il tuo suono?
Per la produzione artistica mi sono affidato a Dario di Pietro, con cui avevo già collaborato in passato. Il suo approccio è stato a mio avviso molto rispettoso dell’intima natura dei brani, li ha aiutati a esprimersi con sincerità e senza invadenza. È un chitarrista e la cosa è stata di grande aiuto per la creazione della pasta sonora. Proprio le chitarre, sovrapposte in più strati, tra riverberi, distorsioni, suddivisioni, effetti creano quell’alone alle spalle delle canzoni che le rende quasi meno tangibili, più rarefatte.

Bello anche questo titolo: cerchi di farti trovare pronto dai dolori della vita? Si riesce in questo?
Non credo, ma possiamo attenuarne la sofferenza con tanti strumenti diversi. Uno è certamente quello del ricordo, forse il tema principale dell’album. Mi piaceva l’analogia con la legna da tagliare per i mesi freddi, entrambi questi termini hanno a che vedere con una produzione che viene utilizzata in un secondo momento, quando ce n’è bisogno.

Dal vivo? Verrone come suona, che suono ha, che faccia di questo disco porta in scena?
Questo è un disco dal volume pieno e come tale la resa è imprescindibile dalla band al completo, abbiamo tuttavia lavorato sodo perché se ne percepisse l’anima anche nelle formazioni ridotte. Le parti di chitarra elettrica, essenziale sia nei temi che negli sfondi, hanno un gran ruolo in tal senso, e adoro il fatto che ormai anche in due su un palco si riesca ad essere onesti con le intenzioni di quanto abbiamo inciso, col valore aggiunto dell’essenzialità. Dette sottovoce a volte le parole fanno anche più rumore.