di Riccardo Bramante

L’orologio del Pavone all’Hermitage dimostra come nel 1700 si fabbricavano congegni le cui regole della meccanica oggi sono d’uso corrente.

Viviamo un’epoca in cui la robotica è entrata anche nelle nostre case e spesso gestisce per noi le funzioni più comuni della nostra vita giornaliera; non tutti sanno, però, che già nel 1700 si fabbricavano congegni, sia pure rudimentali, che applicavano le regole della meccanica oggi d’uso corrente.

Ne è un esempio il cosiddetto Orologio del Pavone che si trova in una delle sale più incantevoli del Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo: è un orologio in bronzo dorato e finemente lavorato che rappresenta un pavone posto su un grande tronco di quercia mentre, seduto su un tronchetto più in basso, vi è un gallo e in una gabbietta con carillon è racchiuso uno gufo in argento.

Girando una chiave, il trio di pennuti si anima: il gufo inizia a girare dentro la sua gabbietta battendo le ali e girando la testa, poi il pavone con flemma regale schiude la coda e la dispiega per intero, infine la rappresentazione termina con il gallo che emette il suo sonoro “chicchirichì” a segnare il passaggio dalla notte al giorno.; l’orologio vero e proprio, contrassegnato con numeri romani ed arabi, si trova immerso tra il fogliame ai piedi del tronco, contornato da piccoli animali e vegetali.

Né la scelta di questi tre volatili è casuale: il gufo, infatti, è comunemente associato all’oscurità della notte, il gallo al sole e il pavone alla rinascita.

I meccanismi interni del complesso non sono mai stati modificati per cui oggi questo oggetto rappresenta l’unico esempio di automazione del ‘700.

L’orologio era un dono che Grigorij Potemkin (si, proprio quello del famoso film “La corazzata Potemkin!) fece alla zarina Caterina II di Russia, di cui era amante e consigliere molto ascoltato, e sembra essere stato commissionato al famoso orologiaio inglese James Cox il quale all’epoca si era conquistato una grande notorietà avendo già costruito orologi simili dotati di dispositivi meccanici.

Non solo la costruzione, ma anche il trasporto da Londra a San Pietroburgo creò grandi difficoltà e giunse infine alla residenza di Potemkin smontato e accuratamente imballato in ben dieci casse e due cesti. Fu scrupolosamente rimontato dall’ ingegnere Ivan Kulibin, direttore della Scuola di meccanica dell’Accademia di Scienze pietroburghese, che procedette anche alla ricostruzione delle parti andate perdute o deteriorate.

Per ironia della sorte, l’orologio non fu mai effettivamente consegnato da Potemkin alla zarina in quanto lui morì poco dopo l’arrivo dell’oggetto e Caterina II ne venne in possesso, pagandolo 11.000 rubli, solo quando acquisì gran parte dell’eredità del suo consigliere.

L’interesse per oggetti automatici così originali può spiegarsi anche con motivazioni ideali poiché nel ‘700 la meccanica di precisione era impiegata anche per dimostrare la prevalenza della ragione sul mondo organico; l’andamento di tutto l’universo e lo stesso mondo circostante era percepito come un gigantesco meccanismo più o meno ben regolato, tanto che lo stesso filosofo e scrittore Francis Bacon nella “Nuova Atlantide” immaginava automi che imitano gli esseri umani. A quanto pare, si era molto avvicinato alla realtà del mondo d’oggi!