di Riccardo Bramante

Tra le tante iniziative che interessarono Roma dopo la sua riunificazione all’Italia e la proclamazione a Capitale 150 anni fa, vi fu anche l’inizio di una campagna di scavi per riportare alla luce le vestigia di una antichità che potesse conferirle anche l’aspetto richiesto dalla sua elezione a Capitale.


Proprio nell’ambito di questa campagna di scavi vennero individuati i primi resti della cosiddetta “Crypta Balbi”, costruita nel 13 a.C.da Lucio Cornelio Balbo generale di Augusto che si era arricchito con i bottini raccolti durante la guerra vittoriosa condotta in Libia per conto dell’Imperatore.
I lavori, interrotti quasi subito, furono ripresi immediatamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale quando si volle demolire un edificio cinquecentesco per costruirvi un nuovo palazzo più adeguato ai tempi.
Nonostante i grandi rimaneggiamenti subiti e le superfetazioni avvicendatesi nei secoli riemerse così un grandioso complesso, un vero e proprio quartiere che aveva al suo centro un teatro, certamente non il più grande di Roma con i suoi 90 metri di diametro e una capienza di circa 10.000 spettatori,
ma sicuramente il più elegante e decorato con colonne in onice, circondato da una grande area porticata, da cui il nome di crypta (coperto), che permetteva al pubblico di ripararsi dalla pioggia o di passeggiare come nei moderni foyer dei teatri.

Successivamente intorno al teatro sorse un vero e proprio quartiere che si estende per oltre un ettaro con botteghe di vetrai, forni e “insulae” che oggi ci restituiscono l’immagine della vita quotidiana dell’antica Roma e che possiamo finalmente tornare ad ammirare entrando nel Museo Nazionale Romano situato in Via delle botteghe oscure e che comprende altri edifici compresi tra Via Caetani, Via dei Polacchi e via dei delfini, non distante dal Campidoglio.
Sono anche ben visibili le successive stratificazioni che hanno trasformato la zona dapprima in fortezza medioevale (il cosiddetto “castrum aureum”), poi in una chiesa, Santa Maria Domine Rose, con annesso un ricovero per sbandati e “zitelle”, successivamente abbattuta per far posto ad un’altra chiesa, Santa Caterina de’ Funari ancora oggi esistente, e accanto ancora la chiesa di San Stanislao dei Polacchi, finchè tutti gli edifici furono acquistati dalla ricca famiglia Mattei per costruirvi il loro palazzo gentilizio nelle cui cantine è possibile vedere ancora un muro maestro dell’antico teatro di Balbo.
Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce non solo edifici ma anche un enorme numero di oggetti di vita quotidiana, vasi, utensili e monete delle varie epoche oggi esposti con una efficace contestualizzazione nel Museo quasi a formare una sorta di “scatola del tempo” che documenta la fase imperiale della zona, il suo progressivo abbandono, le trasformazioni medioevali e le fasi rinascimentali e settecentesche.