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Emanuela Perozzi è una giovane e promettente scrittrice, nata nel 1976 a Roma, dove vive con il compagno.  Esce con il suo primo romanzo “Disperati giorni di Gloria” pubblicato da Les Flâneurs Edizioni. Per Emanuela scrivere è una sua vera e propria passione da sempre. Fin da bambina infatti ha iniziato a scrivere sema mai più fermarsi. La sua spinta è tale da farle decidere, qualche anno, di lasciare il proprio lavoro a “posto fisso”, dedicandosi completamente a questa attività. Si è così, con pazienza e tenacia, costruita una carriera, meno certa, ma decisamente molto più affine alla sua natura. Emanuela Perozzi è anche “Content Writer” freelance, e collabora con diverse “Web Agency”. Scrive inoltre per diverse riviste di Interior Design. Conosciamola meglio attraverso questa intervista.

Un coraggio grande quello di aver abbandonato un lavoro per dedicarsi alla propria passione e farlo diventare il proprio “nuovo” lavoro. Cosa l’ha spinta ad intraprendere la carriera di scrittrice?

Avevo un lavoro stabile e ben retribuito ma non ero felice, sentivo che non stavo esprimendo le mie potenzialità. Non è stato per niente semplice lasciare una strada certa per una che neanche esisteva (se non nei miei sogni!). Ma volevo a tutti i costi che “scrivere” fosse il mio lavoro, e così ho preso a costruire la famosa strada alternativa. Con calma e pazienza. Ho iniziato a lavorare come content writer e copywriter per alcuni web magazine: scrivevo nel weekend, a volte gratis o quasi. Pian piano le cose hanno iniziato a girare meglio ed ora eccomi qui. La carriera di scrittrice è arrivata qualche anno dopo…

E adesso è cambiata e come la sua vita scrivendo libri?

La mia vita è cambiata in meglio, è come se fossi tornata a respirare dopo un lungo periodo di apnea. Certo, scrivere è faticoso! Ma è anche l’unica cosa che voglio fare. “Ama il tuo sogno se pur ti tormenta” è una frase di D’Annunzio che sintetizza bene il concetto, e sarà anche il mio prossimo tatuaggio. 

Abbiamo detto che “Disperati giorni di Gloria” è il suo primo romanzo, come è andata ce lo racconta?

E’ nato tutto casualmente. Avevo appena messo fine a un “amore impossibile” (fondamentalmente non corrisposto) e facevo i conti con la crisi d’astinenza dei primi giorni di separazione forzata. Per allentare l’ansia iniziai a scrivere un “diario del distacco”, annotando giorno per giorno le emozioni che provavo, in quali momenti della giornata e con quale intensità, registrando con dovizia di particolari ogni minimo cambiamento, sia i passi indietro che i piccoli miglioramenti. Una sorta di autoanalisi che mi ha aiutato a prendere le distanze dalla situazione, per quanto possibile. Poi però ci ho preso gusto. Sono nati i personaggi e la storia ha iniziato ad andare per conto suo. Quello che doveva essere un registro delle emozioni circoscritto ai giorni del dolore è diventato un romanzo che fa riflettere col sorriso.

La scrittura può essere terapeutica?

Scrivere è catartico. E’ sempre una presa di coscienza, l’inizio di un cambiamento, di una trasformazione. La scrittura mi ha salvato la vita e sono convinta che sia così per tantissime persone. 

Cosa prova dopo aver realizzato questo suo libro?

Sono felice per due motivi, anzi tre! 

Sto contribuendo a diffondere il tema della dipendenza emotiva, di cui ancora si parla troppo poco, ho scritto un libro in cui la vera protagonista è proprio la scrittura terapeutica e, non ultimo, ho realizzato un sogno che coltivavo fin da bambina.

Secondo lei è facile da leggere? Cosa si deve attendere il lettore?

Disperati giorni di Gloria è a metà strada tra il romanzo-diario e il genere umoristico. L’autoironia della protagonista serve a sdrammatizzare la serietà della tematica e a facilitare l’immedesimazione con le sue (dis)avventure. Perché più o meno tutti siamo stati Gloria almeno una volta nella vita! Ci siamo resi ridicoli per amore, abbiamo preso un abbaglio perché vittime della diffusa “cecità da innamoramento”. Abbiamo sofferto ma poi siamo rinati.

Gloria rinasce grazie all’affetto della sorella, delle amiche, grazie agli strampalati ma efficaci esercizi che le prescrive la sua psicologa e grazie alla scrittura-ricostruzione di quella presunta storia d’amore che altro non è che un suo problema più profondo, da affrontare con coraggio e una massiccia dose di umorismo.

Ci sono influenze reciproche fra quanto ritroviamo nel libro e la sua vita “reale”?
La relazione che si crea tra autore e personaggio non è mai asettica: uno influenza la visione e le scelte dell’altro. Nel caso del mio romanzo, posso dire che Emanuela e Gloria si sono aiutate a vicenda. A forza di scriverla e descriverla, la disperazione di Gloria (e quella di Emanuela) è diventata meno disperata. Tra alti e bassi, la vita di entrambe ha iniziato ad apparire più comica che tragica. Diciamo tragicomica!

Quanto è importante essere “credibili” nel libro che si scrive, da offrire poi ai lettori?

Quando parliamo delle cose che ci stanno veramente a cuore siamo portati a farlo con sincerità, con spontaneità, senza filtri né condizionamenti. E’ come se il racconto prendesse il sopravvento su ogni altra cosa, compresa la ricercatezza del lessico. Secondo me si è credibili quando non ci sono forzature, quando si scrive in modo naturale, come viene meglio. Non importa se siamo forbiti, semplici, complessi, diretti o ermetici. Ciò che conta è l’esigenza espressiva. E il genuino interesse per ciò che stiamo raccontando. Una lettrice mi ha detto che il mio stile è “consapevole e riconoscibile”. Non avrebbe potuto farmi complimento più bello. 

Intanto che si gode il successo di questo primo libro, sta già lavorando a un prossimo? 

Per ora è solo un’idea e sono stati gli stessi lettori a suggerirmela. In tanti mi hanno scritto di essere dispiaciuti perché il libro era finito, e che avrebbero continuato volentieri a seguire le vicende tragicomiche di Gloria, a scoprire come proseguiva la sua vita.

Insomma, mi sa che mi tocca scrivere il sequel di DGDG… 

Un sogno nel cassetto da realizzare?

Continuare a scrivere libri e vedere che succede.