Un progetto che si presenta “multidisciplinare” visto che alla base del suo DNA esiste il suono proveniente dal trio partenopero Caterina Bianco, Michele De Finis e Jonathan Maurano, anime diverse, distanti, di background seminati in diversi progetti (EPO, Blindur, Sula Ventrebianco, unòrsominòre, PMS, Argine, Corde Oblique…). Nasce FANALI e questo disco anche disponibile in una bella release in vinile è “Shidoro Modoro” che significa anche alterazione del linguaggio e che qui prende forme altre, altre derive di alterazioni. Come nella codifica visionaria di Sabrina Grillo che cura le grafiche e il video: mescolando contorni dentro una psichedelia digitale che nasce dal concetto di cellula primigenia. Il tutto è un divenire di suono e di concetto…

Davvero, come si arriva ad un titolo simile? Chi ha un piede nella cultura orientale?
Ti sorprenderò: nessuno di noi. Più banalmente ci piace curiosare per la rete. Ci siamo imbattuti per caso in questa espressione, suonava benissimo alle nostre orecchie e traduceva le difficoltà comunicative associando quelle relative allo stato di alterazione con quelle depressive. Irresistibile.

La copertina di questo vinile è assai inquietante, posso dirlo? In che modo si lega al titolo?
Viviamo – temo ancora per poco – in uno stato in cui vige la libera espressione, quindi a maggior ragione, sì, puoi dire tutto quel che ritieni finché sei in tempo! Non saprei però cosa rispondere sul tema se non che temo che l’arte non abbia missione di “quietare”, sicuramente non per noi. Da parte nostra lo troviamo un bellissimo scatto. Dovresti guardare il video di “ANCHE” da cui è tratto, posso dirlo?

Tutta la grafica, dicevamo, a firma di Sabrina Cirillo: il suono ha interpretato il suo lavoro o il contrario?
Sabrina è “gli occhi di FANALI”; cura tutto l’output visivo del progetto, è un’ artista che apprezziamo da sempre. Il nostro è un lavoro sinergico e mutualmente stimolante.

Il suono digitale in che modo (se lo fa) ospita il suono analogico?
Ti dirò da estimatore dell’analogico che quel che viene venduto come “analogico” spesso non lo è realmente; se riprendo qualcosa in analogico ma lo misso in digitale “l’analogicità” è già compromessa, per dire. Trovo molto funzionale la sinergia delle due fasi all’interno del progetto e mi basta che alle orecchie di chi ascolta il risultato sia gradevole.

E di base il risultato finale, che sembra nascere come evoluzione di una cellula metrica, approda dove vi aspettavate?
Sono molto contento di risponderti che noi “non ci aspettiamo”. Non abbiamo un paradigma di come “il risultato” dovrebbe essere – ovviamente speriamo sia “bello”, almeno noi crediamo che lo sia.

E per chiudere quanto nel disco è frutto di improvvisazione?
Tanta improvvisazione nella fase iniziale. Raccogliamo poi quanto più materiale possibile, di seguito avviene un rigido lavoro di scrematura e sistematizzazione. Insomma direi un cinquanta per cento.