Riconoscere un talento emergente, come una vera, pura e rara sorgente naturale, era l’appassionata dedizione morale di Riccardo Bramante che si illuminava ogni qualvolta ne veniva al cospetto. Unire la fonte giovanile con quella solcata da affermate esperienze è stata sempre la sua missione disinteressata da pigmalione.

Il premio a lui delicato, “Premio Riccardo Bramante”, vuole essere quindi il prosieguo del suo desiderio collegando talenti riconosciuti in discipline d’arte, cultura e spettacolo, con giovani talentuosi premiati in analoghi ambiti che si avviano nel percorso di vita, sostenendoli e costudendo in tal modo un ideale ponte intergenerazionale.

L’amico giornalista, Maurizio Moretti offre un profondo spunto riflessivo sul tema “che merito ha il talento?” che racchiude nel contempo anche la filosofia del Premio stesso.

Che Merito c’è nel Talento ?

di Maurizio Moretti

Nasciamo con delle caratteristiche ambientali, sociali, familiari e peculiarità personali che chiamiamo attitudini ma, per le quali, non abbiamo fatto nulla per determinarle. Poi veniamo valutati, esaminati, misurati, solo per quanto ci discostiamo da un modello pre-impostato, utile spesso ad altri, ma non sempre a noi. Forse va ridefinito il rapporto tra Merito e Talento.

Il dono della Vita si compie nelle situazioni più disparate. Ognuno di noi è nato e, per i più, è stato voluto da genitori che sapevano abbastanza bene in che condizioni generali avrebbero fatto crescere la nuova creatura.

Se le condizioni non erano ottimali, rispetto ad un ideale modello di sviluppo vigente in quel momento, non per questo si è rinunciato a donare la Vita e, rinnegando così, l’istinto primordiale di continuità della specie.

Anzi, vediamo dai dati che, la spinta alla natalità, è più forte in paesi sottosviluppati e con grandi disagi esistenziali. La speranza di un’evoluzione sociale, il senso di andare oltre la propria stessa vita anche attraverso la vita altrui o la semplice necessità di aiuto alla sopravvivenza quotidiana, poco importano a chi si sente differente, mancante di qualcosa ed, a volte, per questo ha il sentore ingiusto della colpevolezza. Magari è solo povero.

Povertà per assetti culturali ed educativi, per condizioni sanitarie precarie, dove incide fortemente la mortalità infantile, per destabilizzazioni sociali, climatiche o di conflitti in atto che, entrambe, portano a spostamenti di insediamento sui territori ed a cui, per queste povertà, le giovani generazioni danno certamente un supporto, specie in economie ancora fortemente radicate sulla manualità e la forza e resistenza fisica.

Se ci sentissimo invece tutti parte di un destino comune, il quale rimetta la Persona al centro di un nuovo sistema di sviluppo per l’Umanità, non potremmo che avere un atteggiamento di umiltà nel riconoscere che non c’è alcun Merito in premesse che ci differenziano gli uni dagli altri, anzi, bisognerebbe avere un atteggiamento di gratitudine nell’aver avuto delle possibilità ad altri negate.

La premessa, per quanto necessaria, non vuole arrivare a facili conclusioni e né tanto meno indicare soluzioni, per cui sono preposti organismi internazionali ma, soprattutto, perché non si possono dare risposte semplici a problemi complessi. L’intenzione di questa riflessione è di guidare il concetto di Merito su binari che siano più sensibili nel veicolare aiuti, indirizzati soprattutto ai giovani per i quali, il compito delle generazioni avanzate, è quello di farli salire metaforicamente sulle proprie spalle, al fine di volgere uno sguardo verso il futuro, guardandolo anche con i loro occhi.

In un sociale che sta sempre più connotandosi di individualismo e auto-refenzialità, il Merito e l’Impegno, spesso ossessivamente, sono stati prima racchiusi nella parola Talento ma poi mal declinati.

Da qui a giustificare, con il Merito e l’Impegno, la conquista del Potere il passo è breve. Che sia un Potere economico, politico, militare o religioso, la nota comune è quella di essere formato ed, esso stesso formante, una classe privilegiata dei più bravi, delle eccellenze, la quale si differenzia dagli altri, da quelli che “non se lo sono meritato” o anche se lo meritavano “ non si sono impegnati abbastanza” o non avevano il contesto sociale e familiare “giusto ” o non sono stati “fortunati” ad avere l’occasione “giusta”, al tempo “giusto ”.

Comunemente non si pensa che alcuni, forse, non hanno avuto solo le stesse possibilità. Certo, è complesso già normalmente poter avere un insegnamento che, magari anche esperenziale, faccia capire le proprie attitudini, avendo dei Mentori da seguire e l’opportunità di inserirsi, con i Saperi acquisiti, in un contesto sociale che consenta di esprimersi in modo naturale, dandosi serenamente anche quel senso del Limite a cui tendere, per non credersi onnipotenti ma essere pronti a saper insegnare ad altri.

In Giappone c’è un tempio che ogni vent’anni viene demolito e ricostruito, esattamente come prima, in altri vent’anni. Un gruppo di giovani segue la demolizione e ricostruzione i primi vent’anni, imparando, nei secondi venti anni partecipa fattivamente ad un nuovo ciclo e, nel terzo ventennio, insegna ai nuovi giovani che lo ricostruiranno. La catena intergenerazionale di trasmissione del Sapere ha questa essenzialità.

Chi è chiamato a valutare i giovani, per offrire loro un aiuto, ha quindi il compito e la responsabilità di individuarli secondo alcuni criteri, da condividere con altri per avere uno sguardo collettivo e non soggettivo.

Criteri che possono essere basati su:

ATTITUDINE: nella poliedricità delle personalità va individuato a cosa ci si sente portati e cosa vedono gli altri in noi che li colpisca per unicità.

ETICA: partecipazione alla condivisione del Sapere, affinché ognuno arricchisca l’altro e, con l’altro, diventi custode del Bene Comune, in una specie di gara nello stimarsi a vicenda, dove c’è un premio per tutti: sé stessi.

RESPONSABILITA’: avere coraggio a far fruttare le possibilità date ed osare utilizzando un pensiero critico e divergente, individuando nuovi percorsi di conoscenza, al fine di far evolvere Saperi e quindi Civiltà.

INCLUSIONE: una società di soli capaci e meritevoli crea squilibri con pochi vincenti e tanti sconfitti. Più che coltivare esclusivamente le eccellenze, vanno date pari possibilità a chi ancora non ha intrapreso pienamente la strada di realizzazione di sé. Ed è importante anche conoscere la storia sociale e familiare della singola Persona, con le sue vocazioni ed il percorso di impegno fatto per perseguirle che va a formare un parere sulle sue attitudini, unitamente a quello di uno o più mentori con cui è stato condiviso un tratto di strada.

GIUSTIZIA: Per non far crollare l’Umanesimo sotto la Meritocrazia che, se resta come sola misurazione di una linea gerarchica porta diseguaglianza sociale, ottima per fare affari se il metro di misura sono i soldi, ma fallimentare se l’obbiettivo è la pienezza di Vita e quindi la felicità della Persona, per questo, serve un aiuto mirato che può fare anche in modo, un domani, anche di poter essere di aiuto ad altri, non sentendosi differente nelle opportunità ricevute e nemmeno omologati o uniformati. Semplicemente una Persona con la sua unicità.

Questi cinque punti sono forse troppo per essere racchiusi in un voto od un sintetico giudizio.

Troppo poco invece il Merito, comunemente inteso, per definire Persona di Qualità colui che                 “si è fatto da solo”.  Non deve poi innescarsi l’alibi mentale che, se c’è chi resta indietro, non merita il mio aiuto e quindi posso disinteressarmi di lui, concedendo solo qualche gesto di prossimità.

Spesso un’aristocrazia fasulla, invece di fare da mecenate con l’abbondanza di risorse di cui dispone, utilizza la differenziazione sociale per mantenere i propri privilegi. Chi non è il primo, ma non per questo rimane tagliato fuori, invece è a volte proprio colui che, sentendosi parte di una Comunità, un domani ci potrebbe salvare la vita in una condizione di estremo pericolo o esserci di conforto nell’affrontare un disagio profondo.

Lì c’è Merito, nella trincea della Vita, dove non ci sono solo le eccellenze, i migliori, gli scelti, ma anche chi si è ritagliato il suo francobollo di Vita, con dignità e vivendolo pienamente con interesse e passione.

Già è molto sentirsi la tessera di un grande mosaico comune che si rinnova ad ogni passaggio generazionale e dove, anche una sola assenza, rende l’Opera incompleta. Il tutto nel rispetto del proprio Limes e dell’Altro da sé.