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di Ester Campese

Yannick Roch è l’autore dell’ultimo giallo, edito da Les Flaneurs Edizioni, “Si chiamava Mathilde” disponibile dal prossimo 20 gennaio 2022. Lo scrittore è nato in Francia nel 1983. Da sempre risulta appassionato di lettura e di scrittura. Passione alimentata anche dai suoi molteplici viaggi. Una decina di anni fa si trasferisce in Italia. Qui oggi vive e lavora, insegna infatti la lingua francese e lavora anche come traduttore.

Oggi incontriamo questo talentuoso scrittore per fargli alcune domande e conoscerlo di più. 

Come ha scoperto la passione per la scrittura?

L’ho scoperta quando ho capito che leggere non mi bastava più: volevo qualcos’altro e mi sono ritrovato presto con una penna in mano per raccontare le mie storie (più o meno influenzate da altri medium) che nessuno ha mai letto. Quando mi sono sentito “pronto”, ho iniziato a scrivere i miei primi racconti per gli amici.

Cosa l’ha spinta poi ad intraprendere questa carriera?                                                                                                   

Credo sia ancora presto per parlare di “carriera”: dopotutto, “Si chiamava Mathilde” è solo il secondo romanzo. Credo che sia stata la passione della lettura e della scrittura ad aiutarmi a fare il primo passo: buttarmi e provare a scrivere “sul serio”. Un conto è avere lettori fra gli amici, conoscenti e amici di amici, un altro è essere pubblicato da un editore e fare i primi passi nel vero mondo della scrittura.

Cosa si deve attendere il lettore dal giallo “Si chiamava Mathilde”?                                                                        

Questo giallo è molto diverso delle opere che si pubblicano oggi: l’azione si svolge nella Parigi del 1934 e un lettore abituato leggere libri polizieschi ambientati in un’epoca contemporanea (con tanto di metodi scientifici avanzati, uso della tecnologia ecc.) sarà spiazzato. Nei miei romanzi c’è sempre un braccio di ferro fra l’investigatore e il colpevole: ognuno utilizza il proprio intelletto per fare o scogliere i nodi dell’inchiesta, non ci sono modi convenzionali e la storia è fuori dagli schemi (la definisco come tale, il tempo potrebbe darmi torto). Però, il fattore umano è molto importante e non è solo una partita di “guardie e ladri”: ogni personaggio ha la sua importanza e il lettore incontrerà varie realtà diverse all’interno della stessa storia. E quale quadro migliore della Ville Lumière per una storia di misteri basati su una pianista classica? Ma rassicuratevi, l’azione e lo humour hanno il loro posto.

Questo è il suo secondo libro, ci parla del primo?

Il mio primo libro si intitola “Il Maestro dei morti”. Questo romanzo è stato quello che mi ha fatto entrare nel mondo degli scrittori: lo avevo scritto per un concorso bandito dalla casa editrice Les Flaneurs nel 2015. Anche se non ho vinto il concorso, l’editore (che saluto) ha voluto pubblicarlo e io ho accettato subito! Era la prima volta che scrivevo un giallo. “Il Maestro dei morti” è un’indagine nella quale i miei due investigatori sono alle prese con un misterioso caso di scomparsa e devono far cadere varie maschere della borghesia parigina per arrivare alla soluzione… non faccio spoiler!

Quando scrive un nuovo libro ha già in mente la storia o la elabora in corso?

Veramente rifletto molto sugli aspetti più importanti della storia: chi sono i personaggi? dove si svolge la storia? chi è la vittima? ecc. Poi, le idee arrivano durante la stesura della bozza o durante le ricerche che faccio in rete o nei libri: più si approfondisce su un argomento, più vengono le nuove idee, migliore sarà la storia.

Ha delle abitudini, o dei riti particolari, durante la fase creativa della scrittura?                 

No, niente.