Distopico nel suo essere rock. Contemplativo nella dimensione cantautorale. Federico Fiamma, abruzzese, in produzione con la collaborazione di Carmelo Pipitone, in una ricerca sintetica di suono e identità che siano anche piste buone lungo l’infinita rotta che conduce a se stessi. “Fuori stagione” è un esordio interessante, importante, senza ombra di dubbio un lavoro libero da manifesti e cliché.

Esordire oggi che cosa significa? In un tempo di eccessi e di liquidità…
Esordire per me, che sono fuori stagione come il disco che ho pubblicato, equivale semplicemente ad uno step in avanti. Sono una persona molto attiva e con i piedi ben saldi al suolo; non spero che questo per me potrà diventare una fonte di sostentamento economico né potrei scenderei a compromessi con quanto è richiesto dalla maggior parte del pubblico, allo stesso modo vedo tutto quello che riguarda la mia carriera artistica come una piccola azienda da sostenere; è sicuramente anche il mio pane quotidiano e ne necessito come essere umano nella forma in cui mi si propone.
La pubblicazione forse è solamente un mezzo per lasciar andare un lavoro evitando di rimetterci mano in eterno.

Una ricerca di se stessi… in qualche modo sembra arrivarci contro una spiritualità in continuo silenzio, ritiro, lontano dalle luci dei riflettori…
La repulsione della spiritualità da parte dell’essere umano occidentale (non conosco bene le altre culture per dire se sia così altrove) è ormai palese e nota. Se penso anche solamente per un secondo al fatto che la mia persona possa mai esser legata ad un appellativo di “artista” allora vorrei che tutto quello che penso emerga sempre con sincerità. Non credo che le religioni riusciranno mai ad essere contestualizzate con quanto siamo diventati adesso, alcune sono molto lontane dalla nostra quotidianità ed è normale sentire il peso della distanza ma, in questo caso, il rischio di pensare che non ci sia nulla oltre la ragione potrebbe farci prendere una rotta sbagliata, forse. La storia ci insegna di come il pensiero vari nel susseguirsi dei secoli, gli artisti dovrebbero sempre impegnarsi ad essere propugnatori di evoluzione o, quantomeno, dovrebbero avere il cuore aperto per vedersi come veicolo di un mondo che scorre e di cui saremo paragrafi, tutti assieme, dello stesso capitolo.

Come in questa copertina che non porta nomi, volti, titoli… perché?
La scelta di non inserire nulla sulla copertina è stata comunicativa ed estetica allo stesso momento. Spero faccia emergere quanto per me sia importante che la comunicazione ed il messaggio siano al di sopra di tutto e quanto ritenga la mia visione di facciata secondaria rispetto al resto; inoltre mi piaceva l’idea che il disco, alloggiato su un camino o su un muro, non sfigurasse anche come piccolo, semplice e spoglio lavoro estetico. La foto è stata scattata da me con il telefonino in un momento molto importante e che credo tuttora sia estremamente emblematico di quanto affronto nel disco; abbiamo cercato con Cecilia Marconi di sistemare i colori in post produzione (cosa che per comunicazione, invece, non ho fatto sulla musica) in modo che l’alba potesse emergere nella maniera più fedele possibile, come la nascita di un nuovo individuo; qualcuno l’ha interpretata come un tramonto ma non mi importa, spero che ognuno ne tragga ciò di cui ha bisogno.

Dunque per te cosa significa per davvero “Fuori Stagione”? Come a dire fuori moda, fuori dai percorsi della massa… cosa?
In realtà credo sia una casualità, non ho mai scelto di essere così ma semplicemente lo sono. Forse potrei definirmi semplicemente “nerd” e da tale devolvo tutta la mia vita a quanto mi appassiona. Questo mi porta sicuramente a cercare persone come me ed ora mi sento fortunatissimo per averne incontrate giustamente poche ma con le quali condividere questo viaggio. Nel momento in cui scrivevo “Fuori stagione” mi sentivo diverso e solo, e mi incolpavo e soffrivo per questo. La condanna di chi scrive sta nel fatto che le riflessioni vedono luce sempre molto dopo averle vissute; in realtà tramite questo disco state ora conoscendo un me di quasi due anni e mezzo fa. Queste parole credo aiutino a capire il concetto dietro il titolo del disco; non è assolutamente una critica a mode, spettacoli e costumi, non è altrettanto una presa di posizione da artista “in direzione ostinata e contraria”; è semplicemente la constatazione più emblematica di come mi sono sentito nel momento in cui scrivevo.

Oggi la scena indie sembra più omologata del solito. Io penso invece che ci sia un gran risorgimento soprattutto di stili europei, anzi internazionali in genere… tu che dici?
La musica di intrattenimento e omologata in precisi canoni esiste da tempi ben più antichi di quanto immaginiamo. Nel corso di questi ultimi anni ho sentito dei dischi internazionali e non bellissimi e, probabilmente, ne ho persi un po’ solamente perché l’attenzione mediatica verte su altro, ma non è una cosa da condannare. Analizzando la questione credo che il “sovrappopolamento” delle piattaforme di streaming multimediali abbia reso difficile la ricerca di lavori più sperimentali, all’opposto posso dire che alle volte l’algoritmo mi ha portato ad ascoltare cose che non avrei mai trovato in altro modo.
Sono molto fiducioso nell’evoluzione tecnologica in tal senso, sperando sempre che venga utilizzata con fini “nobili”, potrebbe essere una grande possibilità per la promozione artistica e per la diffusione su più larga scala di ricerche musicali interessanti.