Nonostante tutto i viaggi e spostamenti continui non si fermano. Forse bisogno di recuperare una libertà totale nei movimenti dopo le chiusure. Forse bisogno di vedere e stare a contatto con panorami e persone nuovi. Necessità di mare, montagna, colori diversi, arte, bellezza. E poi non ultima, anzi, l’esigenza primaria di stabilire nuovi contatti lavorativi dopo il mio trasferimento. Fatto sta che tra un biglietto di treno e un altro, autostrade e caselli mi ritrovo in un luogo dove, ammetto, non ero mai stata.

Bobbio

Sono in Emilia Romagna, Val Trebbia, per la precisione Bobbio, in provincia di Piacenza. Quando, arrivando, sono ancora sulla strada in macchina, l’occhio va sulle prime costruzioni. Senza sapere ancora nulla di questo comune, mi viene in mente il celebre “Il nome della rosa” di Umberto Eco. Poco dopo capisco il perché, stupendomi una volta in più di come – evidentemente- certe vicende rimangano inglobate, come intrappolate nelle mura e nell’atmosfera di determinati luoghi. Al punto da renderne l’impatto immediato come se ancora fosse presente quel tipo di vita di un tempo lontano.

La storia di Bobbio

La storia di Bobbio si identifica con quella dell’Abbazia di San Colombano, monaco missionario irlandese, vissuto tra il VI e il VII secolo. Questo monastero fu fondato nel 614 e divenne una delle principali sedi della cultura religiosa medioevale in Italia e in Europa. Possedeva, infatti, un famoso scriptorium ed una celebre biblioteca. Ecco! Ecco spiegato il mio flash mentale sul romanzo di Eco!  Divenuto anche il soggetto dell’omonimo film, protagonista il mitico, affascinante, bellissimo Sean Connery. Ricordate?

Abbazia di San Colombano

Bobbio si trova presso un’ansa del fiume Trebbia, ai piedi del monte Penice. Quello che ne ha accresciuto la fama in questi ultimi anni, è stata l’elezione a Borgo più bello d’Italia nel 2019. Al di là di chi ciò stabilì, si tratta di un luogo effettivamente incantevole e assai suggestivo. Il simbolo più conosciuto del paese è il celebre Ponte Gobbo, o Ponte del Diavolo (io l’ho visitato in notturna, consigliatissimo per le persone romantiche!). Sorto in epoca romana e più volte ricostruito, ha come originale caratteristica, quella di possedere undici arcate di dimensioni variabili.

Ponte Gobbo, o Ponte del Diavolo

Secondo alcuni studiosi, esso è stato raffigurato da Leonardo da Vinci nel suo dipinto più famoso: La Gioconda. Degno di nota anche il Castello Malaspina, risalente al 1300, posto nella parte alta e da cui si gode una interessante veduta sul paesaggio circostante. Al di là della bellezza e della storia, è doveroso ricordare che questo borgo ha anche dato i natali al regista pluripremiato Marco Bellocchio.

Comunque, il motivo principale che mi ha spinto fino qui, è l’essere venuta a conoscenza di due concerti di musica celtica – di cui sono appassionata – fissati per Venerdi 22 e Sabato 23 Luglio. Nella piazza antistante alla chiesa di S. Colombano, infatti, birra, buon cibo, stand caratteristici e tavoli all’aperto, hanno trasformato il borgo in una cittadella d’Irlanda. Immancabile, ovviamente, tanta, energeticissima musica tradizionale, il cui coordinamento è stato realizzato dalla manifestazione “Irlanda in Musica”. Quest’ultima, giunta alla sua XXIII^ edizione, ha portato sul palco due bands: i Folkamiseria e il trio Stewart, Damei & Lombardi.

Pubblico festante, “saltellante” e gasatissimo (me compresa) per il primo gruppo musicale. I Folkamiseria sono sei ragazzi piemontesi, che amano proporre un mix fra musica tradizionale irlandese (e non solo) e il rock. Chitarre, fisarmonica, violino, flauti, cornamuse, basso elettrico e batteria sono i loro strumenti. Essi sanno creare sonorità sempre varie, vitali e molto coinvolgenti, soprattutto per i giovani.

La seconda band – il trio Stewart Damei & Lombardi – nasce nel 2021 da una collaborazione tra Calum Stewart (uno dei suonatori di cornamusa e flauto più ricercati e affermati in Europa) e due musicisti del gruppo “The Fourth moon”, David Lombardi e Jean Damei. Questi due ultimi, si sono affermati nel panorama europeo in particolare per progetti di musica folk contemporanea. Il valentissimo trio, propone una performance dal sound più morbido e ricercato (di certo maggiormente in linea con la tradizione celtica), ottenuto mediante l’utilizzo di strumenti prettamente acustici. Presenti la voce della tipica uillean pipes – dalle sonorità estremamente suggestive ed evocative -del flauto, del contrabbasso e della chitarra.

Il fascino della musica celtica risiede sicuramente anche nelle sue origini. I Celti, infatti, dedicavano le loro composizioni a Dei, Elfi e Fate per assicurarsi la loro benevolenza. Attraverso la musica tentavano di comunicare con loro. Ecco il motivo della scelta di strumenti dai suoni spesso morbidi e cristallini (pensate al tintinnìo dell’arpa celtica, al whistle, o al violino). A volte le composizioni erano complete di un testo che esaltava i poteri della creatura cui erano dedicate e/o la bellezza dei luoghi che essa abitava. In altri casi, invece, si trattava di musiche prive di parole ma che, sapientemente, evocavano atmosfere di un meraviglioso regno fantastico e lontano.

Il concerto termina tra applausi e grida festose per tutti i musicisti che si sono esibiti.

Ci si avvia verso le auto un po’ malfermi sulle gambe. Troppa birra? Ma no, è stata la musica turbinosa ed incalzante!  Anzi no… sicuramente è stata colpa del caldo… ma certo, cosa vado a pensare!
Però la birra era buona… e meno male che non guido io…

Di Rima