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Mannaggia. Mi hanno spoilerato il finale. Volevo arrivare agli ultimi minuti senza capire se l’Italia avrebbe vinto o no la Coppa Davis del 1976. Mi sono fatto subito scoprire. Dopo il tentativo di “recensione” del film “Il Divin Codino”, dedicato a Roberto Baggio, questa volta vorrei dire la mia, molto umilmente, su “Una squadra”. Ovvero la serie tv a cura del noto produttore Domenico Procacci. Prima trasmessa da Sky ed ora visibile anche su RaiPlay.

Mi riferisco del racconto della Nazionale italiana degli anni ’70 di tennis, composta da Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti, Tonino Zugarelli e dal capitano non giocatore Nicola Pietrangeli. In quegli anni il movimento azzurro visse, forse, il momento più bello della sua storia, con la conquista di quello che una volta era un torneo ambitissimo. All’epoca Panatta e Bertolucci erano nei primi 10 atleti nel ranking Atp. Parto dicendo che, per questioni anagrafiche, non ho vissuto quegli anni e che ho letto, scoperto ed apprezzato quei successi solo molti anni dopo. Per cui è chiaro che non posso aver appreso qualche situazione storica nella maniera migliore. Ma iniziamo subito dal titolo: “Una squadra”.

Una storia che spesso non è stata approfondita come si deve. Anche questo è stato l’obiettivo che si è dato Domenico Procacci

Una scelta che appare particolare da parte dei produttori, in quanto, sin dai primi minuti, viene riferito dai protagonisti che lo spirito del gruppo non si sentiva moltissimo. Da una parte Panatta e Bertolucci, molto glamour e con tanta voglia di prendere parte alla mondanità romana, e dall’altra Barazzutti e Zugarelli, che preferivano uno stile molto più spartano, anche perché già accasati e sposati. Anche se più volte si è notato che il popolare Tonino aveva un carattere all’apparenza morigerato, ma in realtà fumantino. Questo a differenza del riflessivo Barazzutti, che per me, sempre per motivi anagrafici, viene più facile individuare come capitano non giocatore.

La serie tv vive principalmente su due fattori. Le parole ed i racconti dei protagonisti. A questi si aggiungono le immagini d’epoca. Procacci ha dichiarato che questo è stato l’aspetto più tortuoso. Avere ed acquistare i diritti non è un’operazione semplice. Ciò è però fondamentale per raccontare al meglio i fatti. E questo è sicuramente uno spaccato bellissimo del documentario. Così come abbiamo potuto apprezzare di poter rivedere il Giampiero Galeazzi dei bei tempi. Il protagonista delle sei puntate è sicuramente Adriano Panatta. È sicuramente il tennista più popolare, così come viene mostrato quando partecipava alle trasmissioni di Pippo Baudo o alla Domenica Sportiva. In qualche modo ha il ruolo di Michael Jordan in “The last dance”.

Adriano Panatta, 72 anni. Tra i migliori tennisti italiani di sempre, nel suo palmarès vanta 10 tornei del circuito maggiore in singolare su 26 finali disputate, oltre a 18 titoli in doppio su 29 finali.

Panatta è anche colui che può dare vita a frasi ad effetto e scatenare ilarità nello spettatore. Ci riesce. Ma non sempre. E poi Paolo Bertolucci. Elegantissimo, sembra quasi che sia lui il doppiatore e chi ha montato Una squadra se ne è accorto e quasi gli affida questo ruolo. Mai una frase fuori posto. Sempre descrittivo al massimo. Un ruolo che tocca, anche se in maniera minore, anche a Barazzutti, di cui ci viene mostrato anche il suo rapporto con avversari e tennisti stranieri.

Viene lasciato molto spazio a Zugarelli quando ci parla delle difficoltà che hanno accompagnato la sua crescita e di come sembri un tennista rimasto molto attaccato alle sue radici e all’umanità, nonostante il successo. Su Pietrangeli devo fare un piccolo discorso. Ho molto apprezzato che la direzione e che la narrazione non sia stata univoca. Spesso viene fatto notare il contrasto tra ciò che dicono i vari personaggi.

La festa azzurra a Santiago del Cile, dopo aver sconfitto in finale i padroni di casa. Ci furono furenti polemiche per la decisione dell’Italia di non boicottare la dittatura di Pinochet

Segno che dei contrasti c’erano, in particolar modo con Pietrangeli, che appare quasi il Gargamella di turno o il cattivo della situazione. Non perché lo sia veramente. Ma semplicemente perché è quello che ha avuto più contrasti con gli altri. Infatti alla fine, come viene raccontato, Pietrangeli è stato letteralmente defenestrato per decisione della Squadra, di concerto con il presidente della Federtennis, ovvero Paolo Galgani. Ad onor del vero, va anche detto che sono passati oltre 40 anni. Naturale non ricordare perfettamente come siano andate alcune situazioni, ce lo si può aspettare. Un aspetto che mi sento di affermare come negativo sono le tempistiche.

A differenza di quanto avviene solitamente in tempi recenti per la documentaristica sportiva, si passa da un anno all’altro senza spiegarlo. Si va avanti e poi si torna indietro, per la puntata finale, con il 1976. Per me che sono fuori tempo non è stato il massimo per catturare ogni situazione. Ma, secondo me, ciò è avvenuto anche per l’impatto cinematografico, ovviamente ispirato da Procacci, che si è voluto dire al documentario. Possiamo comunque dire che si tratta di un esperimento riuscito. In qualche modo chi ha avuto l’idea ha voluto restituire ai vincitori un po’ di quell’onore che, invece, non venne consegnato, al tempo, per questioni meramente politiche.