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Se ognuno di noi sa (o almeno si spera!)  che San Francesco nell’anno 1224 dette i natali alla poesia in volgare italiano mediante il suo sublime ”Cantico delle Creature”, sicuramente non è proprio patrimonio di tutti sapere che egli ne compose anche la melodia.

Respirando tra i boschi umbri con frate Francesco e sora Musica è il trascorso delle mie ultime passeggiate da quando mi sono trasferita in provincia di Perugia. Un pomeriggio, camminando per Assisi, mi tornavano alla mente certi argomenti studiati per la preparazione dell’esame di storia della musica…

Cantico delle Creature

Studi di qualche anno fa, utilizzando tecniche medievali e antichi manoscritti, sono riusciti a risalire alla primordiale musica del Cantico. Da ciò possiamo sicuramente affermare che Francesco non è stato soltanto il primo poeta della nostra lingua volgare, ma anche il primo cantautore!

Le radici profonde della canzone italiana sono nelle laudi medioevali.

Chi ha studiato un poco la storia della musica, sa che le radici più profonde della canzone italiana risalgono alle lontane laudi medioevali. Esse rappresentarono la prima manifestazione popolare spontanea della fervente religiosità del Medioevo. Tutto questo al di fuori della rigida preghiera liturgica in lingua latina di Santa Madre Chiesa.

Sappiamo che dopo l’anno Mille in Italia come in Europa, si assistette a un lento schiudersi della vita sociale. Si vide l’immediatezza dell’anima popolare divenire via via sempre più protagonista di tutti gli aspetti dell’esistenza. Compresa, ovviamente, l’espressione musicale. In Europa la poesia e la musica andavano a braccetto attraverso figure di cantautori (trovatori, trovieri, minnesanger ecc.).Questi spesso prendevano ispirazione da fiumi di birra. In Italia in particolare musica e poesia si incontravano quasi esclusivamente nell’ambito popolare religioso. Di fatto, le laudi costituirono il “ponte” tra l’austero gregoriano della liturgia, e la canzone popolare moderna. Esse erano componimenti sacri in lingua volgare, nate in Umbria nel XIII secolo, a opera delle congregazioni religiose itineranti, in particolare quella di S.Francesco e di cui il poeta Jacopone da Todi ne costituì l’altra eminente figura rappresentativa.

Il ritrovamento del prezioso “Laudario di Cortona” ha ulteriormente fatto luce sull’importanza che questo neonato genere musicale ebbe nel cammino della nostra canzone.

Laudario di Cortona

“Dalla chiesa di S. Francesco proviene il celebre Laudario di Cortona. Un codice membranaceo, in cui sono trascritte 66 laudi, di cui 46 corredate da notazione musicale, che trattano temi di argomento mariano e liturgico come, ad esempio, la Natività o la Pasqua, o per la devozione di santi. Esso rappresenta il primo e il più antico testimone di un nuovo genere librario, musicale e letterario, che entrò ben presto in uso presso le confraternite di buona parte dell’Italia e dell’Europa medievale, costituendone al tempo stesso il principale modello di riferimento. Secondo la tradizione, il manoscritto fu rinvenuto nel 1876 in pessimo stato di conservazione da Girolamo Mancini, figura poliedrica dell’erudizione locale, che, riconosciutone il valore, lo depositò nel fondo manoscritti della Biblioteca del Comune e dell’Accademia Etrusca (Cod. 91).” (cfr. fonte qui

Questo laudario utilizza ovviamente la scrittura musicale di allora. Ai fini della nostra comprensione nei casi più fortunati troviamo l’utilizzo del tetragramma (il rigo musicale antecedente al pentagramma), ma per la maggior parte di questi canti, siamo di fronte alla notazione neumatica, cioè all’uso di quei segni (neumi) costituiti da punti e linee che indicavano piuttosto approssimativamente le durate dei suoni e l’andamento delle melodie e per la cui interpretazione sono indispensabili filologi esperti.

Il  “Laudario di Cortona” una straordinaria fotografia della nostra lingua.

Quello che a noi appare più interessante di questo Laudario risiede sicuramente nei testi. Esso, infatti, è una straordinaria fotografia della nostra lingua scattata pochi decenni dopo la sua nascita. Qui la preghiera popolare, pur nel coinvolgimento nelle passioni e nei sentimenti della gente comune, non rinuncia alla raffinatezza linguistica che traspare nelle rime, nella metrica e nell’uso del lessico. Da ciò deduciamo che il popolo di allora mostrava di emozionarsi a questi testi nonostante la pressoché totale mancanza di istruzione. La poesia volgare aveva di fatto già raggiunto un notevole livello di maturità all’interno degli animi. Evidentemente, e lo scrivo con una punta di amarezza, esisteva uno spessore umano di ben altro livello rispetto a quello cui oggi siamo abituati.

Grazie allora, e per un motivo in più, a quei fraticelli poveri che di casa in casa e di villaggio in villaggio contribuirono alla capillare diffusione della nostrana poesia in volgare e alla musica a essa legata.

Anche per loro merito, l’Italia approderà con una consapevolezza tutta nuova, allo splendore “totale” del Rinascimento nel 1400 e 1500.

 

Di Rima