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Seconda pubblicazione per neonata label bolognese Locomotiv Records. Seconda uscita anche in vinile per una direzione che sembra voler sposare il suono distopico, la struttura eterea e quel certo modo di fare ricerca. Un disco come “Stories” promette varianza, scritture poco prevedibili, sempre in moto alla ricerca di soluzioni che sorprendono sempre, anche mescolando opportunamente il mondo digitale con quello dell’analogico. Sono i Pin Cushion Queen, moniker che rimanda a quel Tim Burton e non è un caso che tanta parte del disco si aggrappa anche a quell’immaginario poetico e allegorico.

Storie. Oggi è importante raccontare storie? Mi sembra di abbracciare sentimenti e significati di memorie… oggi viviamo epoche che danno pochissimo spazio alle storie, alle memorie…
Abbiamo chiamato il disco “Stories” perché è l’ultimo capitolo di una sorta di trilogia della narrazione: siamo partiti dai personaggi di “Characters”, per poi passare alle ambientazioni con i tre Ep di “Settings”, usciti fra il 2016 e il 2017. Ora siamo al nostro primo album vero e proprio. In pratica, questa divisione rispecchia un percorso artistico: solo ora ci sentiamo pronti per un racconto compiuto, cioè per un insieme di brani che non siano solo bozze di un disegno più ampio. La parola “storia” è legata solo a questo gioco e non a ciò che raccontiamo all’interno dei testi, che in effetti non possono dirsi narrazioni in nessun modo: il racconto, inteso come una sequenza di tensioni e rilasci tipica della narrazione, sta nella musica nel suo insieme. E se intendiamo il termine appunto come una sequenza di tensioni e rilasci, allora le storie dominano la nostra vita da sempre, forse oggi più mai.

Un disco dentro cui i margini non hanno contorni definiti. Ovunque. Perché?
Se per margini e contorni ci riferiamo a generi musicali o formule riconoscibili, sì: è un disco senza contorni definiti, non ci riconosciamo in un nessun genere in particolare né volevamo ricavarci uno spazio sotto l’ombrello comodo di un’etichetta. Ci siamo impegnati a dare forma alle idee che ci sembravano più significative, che in qualche modo ci emozionavano, senza cercare un canovaccio già noto con cui svilupparle: da una parte è un modo di lavorare più impegnativo, perché non hai riferimenti certi, dall’altra è tutto molto più naturale. E onesto. Detto questo, è evidente che ci sono artisti che ci hanno influenzato (è impossibile il contrario) in modo più o meno consapevole e, in alcuni casi, i riferimenti sono molto chiari (il primo brano del disco, “The haunted”, sembra un omaggio a Danny Elfman). Ma se cerchi di trarre da ogni idea embrionale la forma del brano che esprima meglio il potenziale di quell’idea, allora ti ritrovi facilmente con un insieme di pezzi che tra loro avranno in comune solo la tua “mano” e non un genere specifico.

Allegorie e maschere, modi altri di guardare alla vita ma anche tanta simbologia. Come a dire che questo disco è da far proprio ad ogni ascolto e per ogni ascoltatore?
Ogni opera probabilmente vive di vita propria, oltre le intenzioni del suo autore. Quindi, se ci avete visto dei simboli, allora è così: c’è sicuramente questa possibilità. Per quanto ci riguarda, però, non abbiamo pensato a nessun simbolo o rimando di sorta, almeno non consapevolmente.

La copertina ci rimanda alla faccia di Marte. Ma non penso sia questo… o sbaglio?
Vale la risposta di prima: ognuno può riempire di significato un’opera quando questa lascia margini di interpretazione più larghi. L’autore del dipinto in copertina è Giuseppe Adamo, artista di stanza a Palermo che conosciamo da tempo e a cui ci lega un’ammirazione reciproca. Se Giuseppe avesse in mente Marte per quel dipinto non ne abbiamo idea, ma se dovessimo indovinare diremmo di no.

Ho notato un’ampia diversità nel disco comunque legata da uno stesso sangue: per voi la diversità cosa e come pesa nella scrittura?
È importante perché l’idea di scrivere e suonare pezzi che in fondo si basano su un’unica intuizione di fondo non ci interessa per niente. Sia chiaro, ci sono gruppi e artisti che hanno inciso album eccezionali in cui ogni brano gira intorno alla stessa matrice, non c’è niente di male in questo. Ma per come abbiamo impostato il nostro lavoro, semplicemente non è una direzione che ci attira. Chissà, magari un giorno per qualche altro progetto ognuno di noi tre potrebbe decidere al contrario. Per il momento preferiamo sperimentare strade diverse per ogni singolo brano.