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Il nuovo tempo di Alessandro Zannier è chiuso dentro un disco apocalittico come “ARCA”: Ottodix per il suo ottavo concept che sempre indaga il modo che l’uomo ha di stare al mondo e sulla terra, si sofferma su una provocazione importante: ripartiamo da zero, facendo un ipotetico backup del genere umano e costruendo un’Arca in continuo viaggio nello spazio. Abbandoniamo la terra ormai in fiamme. Concetti futuristici, fantascientifici, un film raccontato dentro tante pellicole. Qui però siamo nei meandri dell’elettronica che sforna soluzioni pop sempre efficaci. Qui siamo a lambire il suono della new-wave… a corona suoni sintetizzati da un DNA animale dentro strumentali che fanno da ponte concettuale tra i brani e, ci aspettiamo, magistrali esposizioni del concetto anche dentro installazioni e concerti multi-disciplinari. Il mondo di Ottodix non è certamente possibile riassumerlo con poco… quindi che questo articolo vi serva solo come spunto per iniziare un viaggio davvero lungo da raccontare a parole.

Ottavo disco e si torna di nuovo a parlare di società: ora l’uomo va salvato da un’allegorica arca. Tutto questo prende spunto da cosa?
Sicuramente prende spunto dal clima di apocalisse su tutti i fronti che stiamo vivendo negli ultimi anni, di cui la pandemia è stato solo uno dei tanti allarmi ambientali. La fine dell’economia occidentale o l’illusione della stabilità del suo sistema, le guerre su scala globale fatte per procura dai vari Stati, il riaffacciarsi del pericolo nucleare e tante altre cose sotto gli occhi di tutti. Ce n’è abbastanza per invocare un secondo Diluvio Universale, solo che questa volta potrebbe essere un incendio, visto il surriscaldamento globale, o qualcosa di radioattivo, virale, batterico o alimentare che non lascia più spazio a un domani, dopo “il ritiro delle acque”.
Se aggiungi a tutto questo gli aggiornamenti continui sulla ricerca spaziale di esopianeti, le immagini di Marte che sembrano venire dal giardino del tuo vicino, da quanto sono nitide, o di Giove e Saturno, (o Plutone!), i miliardari che tentano di arrivare per primi su Luna e Marte con città, habitat e altre forme di business (anche minerario), l’idea di “Arca” è lì davanti agli occhi.
Mi piaceva inoltre l’idea di costringere tutta l’umanità, di qualunque appartenenza geografica, a bordo di un unico gigantesco barcone, a provare tutti assieme cosa vuol dire essere migranti verso l’ignoto con poche cose da salvare e portare con sé, verso un futuro buio e spaventosamente ignoto.

Se ti chiedessi di letteratura? Esiste una radice anche in questo?
Beh, da giovane ho letto molto Asimov e altra letteratura visionaria fantascientifica, quella fantascienza sana che si occupava soprattutto di scenari geo politici possibili, anche e soprattutto perché figlia della Guerra Fredda. Amo quando il primo strato di lettura è visionario, intrattiene con storie avvincenti, ma il secondo strato è più sociologico, politico, antropologico e ha una ricaduta utile e sociale. Anche la mia forma canzone mantiene una sua fluidità tale per veicolare questi temi, volutamente.

In tutto il disco, almeno nelle forme canzoni, non hai mai abbandonato la soluzione del “pop”… ha una ragione estetica o sociale?
Esattamente come ti dicevo pocanzi. Premettendo che quello che oggi si intende come “pop” è anni luce lontano dalla mia e immagino dalla tua visione di pop(-art), direi che non c’è nulla di male a utilizzarlo come media per veicolare visioni e analisi di sistemi complessi. Il punto è che non è pop, magari lo fosse. Se questo fosse il pop non avremo in Italia la musica che mediamente viene passata dalle radio, né quella massa di pubblico che la richiede e la ascolta.
Alcuni critici appartenenti ai salotti buoni della musica contemporanea mi trattano spesso con un mix di affettuose pacche sulle spalle e di accondiscendenza come se fossi un utopista o uno che sta “svendendo” i suoi sofisticati messaggi al linguaggio del pop. Dico loro che mettere tali argomenti nella forma canzone scorrevole (che non è necessariamente popolare) è un lavoro di nobile divulgazione e di una difficoltà estrema, da enigmisti della lingua, molto più stimolante che muoversi in una creatività astratta senza griglie, paletti e limiti. I pezzi geniali si muovono a mio avviso sempre dentro a delle griglie obbligate che sono la base della comunicazione.
Arca è un lavoro estremamente complesso, frutto di tanti metalinguaggi che diventeranno anche mostre e installazioni audio-video-sonore, con l’aiuto dei ricercatori del CNR e di biologi che si occupano di genetica per supportare la mia idea di tradurre in suono le sequenze del DNA di animali, piante, batteri, funghi. Come nell’arca di Noè, facendo un backup della vita.
In alcune tracce di questo album sono presenti sonificazioni del DNA della tartaruga Chelonia Mydas che ha ispirato la forma di questa Arca spaziale (in copertina dell’album). Ma è anche un disco scorrevole, doveva esserlo necessariamente vista la durata e la quantità di messaggi da fare arrivare.
Se facessi davvero pop sarei in tv o nelle classifiche, e probabilmente farei trap. Invece con questa forma canzone negli ultimi 2 anni ho portato Ottodix a suonare in 2 biennali di Venezia consecutive (3 volte) e a breve a Berlino al Bethanien Kunsthaus, quindi posso dire con soddisfazione di fare una cosa “altra” dal pop, ma anche “altra” dalla musica di nicchia, spesso a sua volta e a suo modo, modaiola e autoreferenziale. La mia musica è piena di contenuti sofisticati, ma è strutturata in modo scorrevole per arrivare a tutti, tutti quelli che sono interessati ai contenuti ovviamente, o a venire agli spettacoli.

E perché comunque il digitale ed il suono “futuristico” sempre a corredo? Secondo te su “Arca” che suono ci sarà?
Il digitale è la mia cifra stilistica da sempre, l’elettronica non è uno strumento, ma infiniti, è una scelta atmosferica di campo. Poi non disdegno affatto strumenti acustici, ad esempio l’album è ricchissimo di pianoforte a coda, suonato da Loris Sovernigo,nel teatro di Guardistallo sotto gli occhi vigili di Antonio Aiazzi che ci ospitava e di Flavio Ferri che ha prodotto l’album. Dal vivo porto chitarra e quartetto d’archi, ma in studio, per esigenze di regia complessiva delle armonie del concept album preferisco i suoni visionari dell’elettronica. In un album con questo tema poi era imprescindibile.
L’elettronica non è più un suono futuristico da 40 anni a questa parte, bisogna rassegnarsi all’idea, è solo la scelta di una tavolozza di colori rispetto ad un’altra fatta di chitarre-basso-batteria acustica. Tutte cose che muovono comunque forme d’onda, tutti strumenti creati dall’uomo, che in natura non esistono, chitarre comprese.

Tra l’altro: una seziona di questo mondo “backup” è dedicata alla memoria. Oggi la stiamo perdendo, letteralmente dimenticando. Che sia questo il vero male?
È uno dei tanti mali. Il brano “Memorandom”, nella tracklist che segue per canzoni i vari distretti dell’astronave di “Arca”, è assegnato alla testa della tartaruga, che è il distretto delle scuole, delle università e delle biblioteche digitali, dove si conserva la memoria dell’umanità, con tutti i suoi errori, da far imparare ai nuovi coloni, per non ripetere il grande sbaglio della distruzione dell’habitat terrestre e imparare a non ricadere in generale negli stessi sbagli.
È stato un gioco molto divertente creare tutto questo, ma scopro con gioia che i messaggi e i contenuti arrivano diretti al primo ascolto, anche dai primi spettacoli live testati sul campo. Le prossime date saranno davanti a 300 studenti di un liceo e il 27 maggio alla mostra dei 100 anni del CNR Italia a Venezia, come evento musicale di un’esposizione dedicata allo stato allarmante dell’ecosistema del pianeta Terra.