La provincia sembra la vera alcova chiamata a custodire le ragioni primigenie di questo nuovo lavoro di Novamerica. “A nessuno piace lavorare” pare una provocazione contro le abitudini moderne, la percepisco come una provocazione intelligente quando – tanto spesso nel suono come nelle liriche – “sbeffeggia” (o sembra farlo) il modo consueto di stare al mondo… almeno quello in scena nelle piccole dimensioni di una provincia. Il quartiere, il confine, il bordo… dimensioni che ritrovo confortevoli nel nuovo suono di Novamerica. La sospensione “domenicale” non manca… non manca il retrò, non mancano visioni di normalità. Tante radici, nuove parole…

Un disco che nasce dai complessi ingranaggi della vita di provincia? Che intendi nello specifico?
Ho vissuto praticamente sempre in provincia, quindi parlo della vita che conosco: la sensazione di desolazione quando si cammina per una strada deserta, le persone che sono sempre le stesse, il bar come unico luogo di ritrovo poiché organizzare qualcosa di più complesso sarebbe troppo difficile, e la mentalità un po’ chiusa. Non credo che la vita di provincia sia meno “nobile” di quella di città; le persone possono essere buone o cattive sia in campagna che in città. Tuttavia, la vita in provincia è sicuramente più noiosa e più povera di interazioni sociali.

Che poi questo disco suona davvero come un pomeriggio sospeso in provincia… o sbaglio?
Mah, a me sembra che il disco suoni in un modo confortevole, il senso di vuoto lo sento più nei testi e meno nelle parti di composizione musicale e di sound.

Per te il centro del mondo qual è? Le grandi città salvano la vita o la soffocano?
Quando sono stato a New York, ho avuto la sensazione che fosse il centro del mondo, ma forse era solo una presa in giro, non lo so. Volendo essere un po’ fricchettoni, il vero centro del mondo dovrebbe essere la coscienza dentro ognuno di noi, si dovrebbe dare un po’ attenzione al nostro interiore prima di buttarsi a capofitto sul mondo esterno. Attualmente vivo a Venezia. Non è una metropoli, ma ho molte più interazioni sociali rispetto a quando vivevo in campagna, e questo mi piace: conoscere e parlare con persone nuove, confrontarmi con realtà diverse dalla mia. Venezia è a misura d’uomo, il problema mi sembrano le città veramente grandi, dove gli affitti sono molto alti e anche chi guadagna bene vive in appartamenti piccoli e vecchi. Da questo punto di vista, la metropoli può essere soffocante. Un’altra cosa che ho notato è che, paradossalmente, la mentalità in città è spesso più chiusa su certi temi; la gente è più informata ma anche più conformata al pensiero dominante. In provincia ci sono meno condizionamenti.

Parli di cantautorato che non aderisce alle mode moderne… ma poi ci dici che da Dalla a Battisti, il richiamo è codificato con uno stile attuale. Cioè?
Esatto, ho scritto questo disco senza preoccuparmi di cosa fosse popolare nel panorama italiano. La mia musica è stata quindi molto più influenzata dai grandi artisti del passato rispetto a quelli contemporanei. L’attualità si percepisce nel sound: alcuni paradigmi compositivi rimangono quelli del passato, ma il suono è sicuramente più moderno.

La canzone: un bisogno, una forma di se, un’espressione… per te cos’è?
Sinceramente, non mi sono mai posto questa questione. Forse la mia musica è un’espressione di me stesso e soddisfa il bisogno di lasciare qualcosa di mio nel mondo. A livello accademico, la forma canzone è spesso sottovalutata, ma ricordo che Battiato in un’intervista disse che scrivere una canzone è molto più difficile rispetto a una sinfonia, perché in 3-4 minuti bisogna dire tutto. Se lo dice lui, possiamo fidarci, no?