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Direzione Spello. Oggi, dopo due anni di assenza (sappiamo bene perché!), torna l’Infiorata. Io non l’ho mai vista ed ora, che mi sta a dieci minuti di auto, non posso certo rinunciarvi! Parcheggio in un largo prato adibito a tale scopo, entro nelle mura e… il luogo comincia a parlarmi.

Armonia di un universo musicale fatto di colori e profumi. Immagini che sorgono dalla memoria, o riaffiorano dai meandri dell’anima, associate a sensazioni antiche, ancestrali. Cornice terrena: una cittadina piccola, adagiata su una bassa collina, che tinge il paesaggio circostante del rosa- beige del suo volto fatto di pietre, su un abito di diverse tonalità di verde. E’ acceso nei campi, negli alberi, più spento nelle distese di ulivi, la cui linea accompagna morbidamente il terreno ondeggiante.

Tutto è espressione di bellezza, di un’armonia affatto casuale. Si percepisce in modo chiaro, che essa sgorgò diretta dall’animo di coloro che, anticamente, trasformarono in manufatto terreno ciò che di divino era stato messo in loro. E fa piacere constatare come, ancora oggi, nonostante tutto, ci siano luoghi dove le persone conservino il bisogno di mantenere quest’ordine, questa armonia. In un’epoca storica di particolare povertà spirituale e morale, espressione di quanto ci sia di più brutto in questo mondo!


Cammino e mi si allargano i polmoni. Qualcosa mi dice “puoi aprirti, rilassati, ammira, assorbi questa bellezza…” Per me che sono nata musicista è come ascoltare una composizione musicale fatta di attenta ricerca dell’armonia, sulla quale si pone un dolce canto. Esso può cambiare a seconda dei periodi dell’anno, ma è sempre sostenuto da un rassicurante accompagnamento di base, che sorregge le sensazioni mutevoli. Come un solido basso continuo. Mi appaiono scorci, vicoli, come idee musicali più o meno sviluppate. Alcuni finiscono, sono chiusi, come una cadenza perfetta.

Altri si aprono verso l’orizzonte infinito poggiato su un tappeto multicolore di campi, come fossero archi di un’orchestra. In questo caso il discorso musicale è aperto, si snoda attraverso ponti modulari che portano a tonalità lontane. Guardo ancora: si distinguono i monti che circondano questa casa che Mamma Natura ha voluto costruirsi qui. Sono un po’ inquietanti e minacciosi in inverno, come in una composizione in tonalità minore. In estate, invece, diventano morbidi e avvolgenti come vellutati seni di donna che ti parlano e ti rassicurano. Mi diverte pensare che esistano montagne che devono avere un’anima femminile, altre che ne hanno invece una maschile. Manifestano spesso questa intima essenza attraverso la forma esteriore: profili di visi dai lineamenti marcati e virili, perennemente dormienti. Oppure profili inequivocabilmente femminili.

E mi torna alla mente una montagna (non so se abbia un nome specifico) che mi compare dinanzi, subito dopo Spoleto, ogni volta che percorro la superstrada tornando da Roma. Mi accompagna fino a casa. Ha un nasino all’in su tenero e dolce di eterna fanciulla. Si intravedono addirittura la sagoma della fossa orbitale, quindi dell’occhio, e del collo. Incredibilmente simile ad un essere umano femmina. Ma si, è così! Le forme della Natura si ripetono, ritrovandosi in esseri diversissimi. Come l’impronta stilistica originale di un una artista dall’inesauribile fantasia. In questa mistica terra, dove è impossibile non ritrovare in noi stessi il divino che abbiamo, Mamma Natura ha costruito la perfezione in ogni angolo.

Andare a farle visita è tornare a casa. La nostra casa di sempre… Torno nel mondo terreno, abbasso gli occhi, ammiro questi capolavori di petali e parti di fiore coloratissimi, frutto di umile, amorevole, lungo lavoro. Mi commuovo…
Esco dalle mura, sto bene. Mi fermo per un cappuccino, dolce sosta al sole, che è ormai alto e caldo. Mentre bevo vedo salire sempre più numerose le auto dei turisti venuti ad ammirare l’Infiorata.
Un ultimo volo della mia fantasia: chissà cosa racconterà ad ognuno di loro, oggi, Mamma Natura.

Di Rima