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Dopo aver girato l’Europa tra mostre e festival, approda finalmente nelle sale da ieri, il film La Santa piccola di Silvia Brunelli. Un piccolo gioiello pop che fa tornare a pulsare il buon cinema indipendente di casa nostra.

La pellicola, che è un’opera prima, è tratta dal bel romanzo breve di Vincenzo Restivo, dal titolo omonimo pubblicato nel 2020 da Officine Milena.

A differenza del libro, ambientato a Forcella, la regista ha preferito il Rione Sanità, ma la sostanza non cambia: stessi colori, stessi odori e sapori.

Stessa surreale mescolanza tra sacro e profano che diventa il filo rosso della storia, così come perfettamente narrata da Restivo.

Protagonisti due amici, Mario e Lino, che vivono la loro adolescenza allo sbando, tra la sporcizia – anche mentale – dei vicoli e il disperato desiderio di farcela, di cambiare la propria condizione.

Sopravvivono quando invece vorrebbero vivere. Eppure, per questo ci vorrebbe un miracolo.

Che accade nella maniera più insolita – protagonista la piccola Annaluce – nel travolgente incipit del film, che non vi sveliamo perchè dovete correre al cinema.

Se il miracolo sia vero o accada per pura coincidenza non ha importanza, ma tanto basta al popolino per aggrapparsi a qualsiasi cosa e alla mamma della “piccola santa” per mercificare la situazione.

Proprio come Santa Madre Chiesa insegna da secoli.

La Santa piccola racconta uno spaccato di vita reale e una storia di formazione dunque, dove trova spazio anche l’amore.

Quello non ricambiato di Mario per il suo amico fraterno Lino, che si trasforma da delicata cotta a una febbre violenta.

Un desiderio acceso che culmina nella scena di “un amplesso a tre” con una milf, che va colto oltre l’erotismo.

E qui sta la sfida di Silvia Brunelli: mettere in scena i corpi nudi e perfetti dei due protagonisti per superare la becera scopofilia.

Per andare oltre al bigottismo – più o meno celato – che è in ciascuno di noi. Per cogliere nello sguardo adorante di Mario tutta la bruciante sacralità dell’amore.

Sacralità che, con intelligenza, la regista mescola a esilaranti siparietti di superstizione popolare che col sacro ha poco a che fare.

Di spessore l’intero cast: solido e credibile Gianfelice Imparato nelle vesti di Don Gennaro, intensa Pina Di Gennaro (la madre di Mario) e sorprendente Sophia Guastaferro (Annaluce).

Menzione a parte la meritano i due protagonisti, belle facce da teneri guappi.

Francesco Pellegrino interpreta con naturalezza Lino, in bilico sempre tra inquietudine e dolcezza.

Vincenzo Antonucci è straordinario a trasmettere, anche con lo sguardo, l’irrequietezza di un sentimento e la vibrante sessualità correlata. In barba a ogni conformismo.