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Quest’oggi facciamo una cosa che non abbiamo mai fatto e che si avvicina al taglio culturale e colloquiale tipico di Seven News. Proviamo a fare la recensione di un film. Certo. Parliamo di una pellicola sportiva, rimanendo sempre in argomento, ma la continua voglia di spaziare e non fare le stesse cose è chiaramente dominante in questa rubrica. Nei giorni scorsi Canale 5 ha trasmesso, per la prima volta in chiaro, “Il divin Codino”, dedicato alla vita di Roberto Baggio. Sicuramente è un nome conosciuto da tutti.

Un personaggio, un colosso storico degli anni 90, che esula dalla sua attività di calciatore. Un nome che abbraccia tutti gli amanti del calcio, ma anche coloro che seguono il pallone solo quando ci sono Mondiali ed Europei. Il codino ha indossato le maglie di Juventus, Milan, Inter e Fiorentina, ma se chiudiamo gli occhi e pensiamo a Baggio, ci viene in mente subito lui con la maglia della Nazionale. Pochi altri giocatori possono vantare una combinazione di questo tipo. Personalmente, però, ho visto il film qualche mese fa, quando è stato lanciato per la prima volta su Netflix.

In una piattaforma che, dal lato sportivo, si dedica soprattutto al documentario, o, in alcuni casi, seguendo lo spirito totalmente americano, all’infotainment, vedere un film come questo non rappresenta una situazione tipica. Passiamo subito al nocciolo della questione. Tanti hanno contestato questa opera per un motivo: non segue pedissequamente tutta la carriera calcistica di Roberto Baggio, ci sono intere parti completamente saltate. Come ad esempio Italia ’90, l’esperienza al Milan, Francia ’98 e molte altre che ora mi sfuggono.

Scena nel film, in cui l’attore Andrea Arcangeli si appresta a calciare il rigore nella finale del Mondiale 1994 tra Italia e Brasile.

Onestamente non capisco tutto questo “puntare il dito”. Non è un documentario, non è una puntata di Sfide, su Wikipedia ci sappiamo andare tutti. E tutti sappiamo come è andata la carriera di Baggio, non ci sono sorprese da tirare fuori. Solo i ragazzini che non sono neanche maggiorenni, magari, devono ancora scoprire che diavolo di calciatore si sono persi. È un film su una intera carriera di un calciatore che ha fatto tantissime cose. Devi stare nel quadro di un’ora e mezza, per poter permettere agli appassionati di calcio che non guardano molti film di potersi godere l’opera al meglio. Quindi devi fare delle scelte. Anche sbagliate, ma devi fare delle scelte. E non puoi fare altro che saltare da un capoverso all’altro senza neanche avvertire.

Magari c’è anche una scelta stilistica, di rendere scorrevole la trama e non rallentarla. Non si può paragonare assolutamente a The Last Dance, dove Michael Jordan è “attore” principale, sceneggiatore, produttore e colui che ha l’ultima voce in capitolo. Lì è chiaro che è un’opera che parte con l’obiettivo, dal principio, di esaltare Michael e non metterlo sulla stessa linea di Dennis Rodman e Scottie Pippen.

Tornando a Il Divin Codino, si vede che c’è stato un lungo lavoro certosino. Dalle ambientazioni, alle scene in campo, alle ricostruzioni del passato, per passare all’attore che interpreta Roby Baggio, ovvero Andrea Arcangeli. Ed è stata una buona scelta concentrarsi anche sull’intimità del numero 10, dove ci potevano far conoscere cose meno note al pubblico. Ricordiamoci che Baggio è anche un’icona del mondo buddista in Italia e non solo e che la storia delle sue ginocchia che tanto lo hanno tormentato può essere apprezzato da un bacino di pubblico infinito. Veniamo a due aspetti particolari ed ad uno negativo.

Una scena del film con Andrea Pennacchi, 53 anni, attore che interpreta Florindo Baggio, papà di Roberto

Il papà del campionissimo è interpretato da Andrea Pennacchi, che abbiamo imparato a conoscere come “el Pojana” e per i suoi monologhi tra italiano e veneto, quasi ricordando Dario Fo con il lombardo. Burbero, serio, freddo: proprio quello che ci vuole per far capire meglio quale sia stata la condizione da cui è partito Roberto Baggio, in una famiglia numerosa dove era difficile anche solo mostrare il suo talento, o ricevere un complimento dal papà.

Martufello, pseudonimo di Fabrizio Maturani, 71 anni, interpreta l’allenatore Carlo Mazzone ai tempi del Brescia

Un altro aspetto ci fa molto sorridere. Carletto Mazzone, che ha allenato Baggio nella sua riscossa al Brescia, è stato interpretato da Martufello. Sì, proprio l’attore comico, con l’accento “burino” del basso Lazio che vedevamo al Bagaglino con Pippo Franco, Oreste Lionello e compagnia cantante. Quando l’ho visto stavo per crollare a terra. Perché non te l’aspetti mica che Martufello possa avventurarsi in un’interpretazione di questo tipo, con tutto il rispetto possibile per lui. Mazzone lo conosciamo, romano vecchio stampo, rimarrà nella storia per aver corso sotto la curva dell’Atalanta dopo una rimonta del suo Brescia da 0-3 a 3-3. Pensavamo ad un attore dall’accento coatto, non Martufello, che ha avuto dei meriti.

Antonio Zavatteri, 55 anni, interpreta il commissario tecnico della Nazionale, Arrigo Sacchi.

E poi una notizia negativa. Ovvero Arrigo Sacchi. Il quale, tra le righe, viene fatto quasi passare per personaggio negativo, per il suo rapporto non proprio speciale con Baggio. Sacchi ha fatto tanto per il calcio italiano, meritava qualcosa in più. Non si può paragonare alla vicenda tra Francesco Totti e Luciano Spalletti. Come chiuderla questa recensione? Possiamo dire che, al giorno d’oggi, realizzare un film perfetto su un personaggio amatissimo come Roberto Baggio, di cui si sa praticamente tutto, è praticamente possibile. Però è sempre bello poterci provare.