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Dai Social – La Lucia 

Da molti è stata definita la poetessa della pazzia, ma Alda Merini ha sempre rifiutato questo appellativo. Né ha mai accettato le ragioni che spinsero suo marito a farla internare. Si descriveva come una donna felice, in attesa che qualcosa di bello potesse accaderle da un momento all’altro: “del resto ero poeta. Ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente”.

Lo psicologo presso cui era in cura stabilì che la sua scrittura nasceva dal suo dolore. Alda Merini non era pazza, era triste e incompresa, forse fin troppo sola.
Dopo una prima fase di disgusto e denuncia per il trattamento riservato ai malati da quelli definiti “finti normali”, cominciò ad accettare il manicomio, al punto di arrivare a credere che la normalità della vita fosse lì dentro, che tra quelle pareti bianche e senza anima si racchiudesse in realtà l’esperimento più alto di socialità tra gli uomini.
Ci aveva provato a mantenere dei contatti con il mondo esterno, ma ogni suo tentativo era fallito miseramente: “Mio marito non veniva mai a trovarmi ed io mi accoccolavo per terra, per ore, davanti all’ingresso aspettando che lui arrivasse. Poi, vinta dalla stanchezza tornavo nel mio reparto”.

Il suo momento di massima gioia fu quando uomini e donne smisero di essere separati, e in quella fase visse l’autenticità dell’amore, con Pierre, a cui dedicò una delle sue poesie. “L’indomani ripresi a camminare nel parco. Ero felice, pensavo in tutta sicurezza che quel giorno avrei trovato l’amore. Ma l’amore che io immaginavo era qualche cosa che stava solo nella mia immaginazione. Invece ad un tratto un uomo piccolo dai tratti delicatissimi mi si avvicinò e sorridendomi mi allungò la mano”.

Il 21 marzo di 91 anni fa nasceva Alda Merini, la poetessa della vita.