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“Sambuca Sunrise” sembra un ossimoro o una conseguenza. Di sicuro mostra cose, scene di un film, figure nere perché controluce, tramonti e albe, rinascite… Di sicuro Ginez sforna un disco nuovo che ha quel “rolling” fumoso e barcollante, di polvere su cose antiche e vestiti eccentrici. Di sicuro l’immaginario lo conosciamo bene e, se dovessimo incontrarlo lungo la via, non mi aspetterei di vederlo scendere da una berlina elettrica… piuttosto da un calesse di legno marcio.

Dieci inediti che si aprono con “Benzene”, uno dei momenti sociali del disco: brano che da subito mette in chiaro il suono, le sfumature e le regole del gioco. Senza peli sulla lingua, piuttosto con metafore visionarie per alleggerire di allegria la severità della critica. E questo lo ritroveremo dentro “Ho visto gente” in fondo alla tracklist (quasi identici come brani, anche nella struttura sonora), o anche dentro “Chevrolet” che si prende gioco (o burla) del signorotto in arrivo. Il Messico e il caldo latino restano con un fare decisamente italiano nella romantica “Autunno” caratterizzata anche dall’Hammond di Piero Dondi e dentro le pennellate quasi manouche di “L’ombra dell’amore” se non fosse che i coretti nell’inciso pop in maggiore facciano tutto il verso alla bella melodia popolare italiana. A proposito di Messico e alle linee di tromba del grande Raffaele Kohler: “Chevrolet” mi sembra un poco il verso a quella “Marajà” di Capossela, figura che comunque torna prepotentemente nell’immaginario di questo disco…

 

Spazio alla commozione con una delicatissima ballata lenta e sentita dal titolo “Lettera”: brano che avrei visto benissimo anche dentro le corde di Massimo Priviero e nei violini di Michele Gazich. E questo lato dell’estetica non è isolata nel nuovo disco di Ginez: ad ascoltarlo bene, questa deriva del folk narrativo è assai presente, o almeno così piace al mio orecchio.
La title track di questo disco poi è la perfetta bandiera di Ginez: italiano si, in frac come Modugno, ma decisamente apolide di generi e spiritualità antichissime. Ritrovo i Balcani e i latini, ritrovo le preghiere alla luna e gli andamenti barcollanti dei sognatori. “Sambuca Sunrise” sta ben piantato al centro della vita e contempla, osserva e poi ci canta su.