“La città” è un brano che mette in musica una frenetica notte cittadina per rappresentare lo stato d’animo del protagonista, perso nei vicoli del centro, ma anche della sua mente. L’alcol, la festa, la musica sono gli anestetici del suo dolore, mentre cerca disperatamente una via d’uscita dal caos che lo imprigiona.
Come hai sviluppato la tua passione per la musica e quali artisti ritieni abbiano maggiormente influenzato il tuo percorso artistico nel modo più profondo?
Di certo il fatto di essere nato in una famiglia di amanti della musica mi ha fatto bene.
Sono cresciuto circondato di tutta la miglior musica internazionale ed italiana: abitando in campagna, ogni fine settimana si accendeva lo stereo a volumi proibitivi, e nel frattempo ci si occupava delle faccende di casa, o si curava il prato. Ad ogni mansione il suo sottofondo, e questo mi ha permesso di assimilare molte influenze, che si sarebbero ripresentate solo più tardi, alla scrittura delle prime canzoni.
A tredici anni comincio a suonare la chitarra, senza la benché minima aspettativa, senza alcun progetto, ignaro del viaggio che mi attendeva.
Il Blues è stata la svolta: stregato dalla sua visceralità, dalla brutale onestà che lo caratterizza, mi sono lanciato alla scoperta del genere, che si è rivelato essere la miglior scelta che potessi fare da giovane musicista. Il Blues ha formato il mio orecchio, sviluppato il mio istinto musicale, e mi ha portato a maturare un personale approccio alla chitarra, che con gli anni si è plasmato e arricchito, senza mai allontanarsi troppo dalla sua origine black.
Arrivò poi il momento dei cantautori.
Già da tempo scrivevo, poesie nello specifico, e sentivo la necessità di coniugare musica e scrittura: la risposta mi venne consegnata dal grande cantautorato italiano, che dall’alto del mio fondamentalismo americano, non avevo mai più di tanto considerato.
De Andrè, Dalla, Guccini: grandi artisti della musica italiana che si sono posti come terreno fertile delle mie canzoni, e che ancora oggi, a distanza d’anni, continuano ad ispirare enormemente la mia scrittura.
A che punto della tua vita hai sentito il bisogno di esprimere la tua esperienza attraverso la musica?
Lo scalino dei vent’anni è stato significativo, e segnato da grossi cambiamenti: la separazione dei miei genitori, l’uscita di casa, il confronto con il mondo del lavoro.
La vita vera, insomma, la fine dell’idillio adolescenziale.
Come avevo sempre fatto per la scrittura, alla quale delego il compito di mettere ordine nelle faccende interiori, questa volta mi affidai alla musica per riuscire a comprendere quello che mi stava accadendo.
Proprio in questo vortice nasce FINECIELO, il mio primo album, il cui filo rosso rimanda proprio a questo: il significato della crescita.
Qual è stata la scintilla che ti ha spinto a iniziare questo percorso?
Il fatto che non sopportassi più di non ascoltarmi, di non onorare le scelte di vita che avrei dovuto fare e che più mi rappresentavano: in altre parole, l’insoddisfazione per una vita che non mi ero scelto veramente, ma che avevo costruito sulla base di credenze erronee e consigli altrui.
Quando finalmente decisi di prendere le redini, e di dare un taglio netto a tutto quello che non mi riguardava, si può dire che ricominciai a vivere.
Una vera e propria rinascita.
Qual è il tuo primo ricordo tangibile legato al mondo della musica? C’è un momento specifico che ha lasciato un’impronta duratura sulla tua percezione musicale?
Un’immagine che ancora mi accompagna, e che ho sintetizzato in varie scritture, è quella di mia nonna che dalle finestre di casa mi saluta mentre fa le pulizie, con Zucchero a tutto volume.
Poi sarebbe passata a Celentano, poi ancora a Morandi.
L’odore di quelle domeniche, unito a questa colonna sonora è uno dei ricordi musicali più intensi che conservo.
Di cosa parla il vostro nuovo singolo e cosa vuole trasmettere? Il nuovo singolo è uno dei pezzi più articolati dell’album.
Il carattere narrativo (poi ripreso ed accentuato nel videoclip) che sta alla base della sua composizione, mette in scena una caotica serata cittadina, e la rende metafora della testa del protagonista, in perenne fuga da se stesso e da ciò che lo tormenta.
Il momento lirico centrale invece, costituisce la ‘liberazione’, il provvisorio avvicinamento alla felicità, intesa come liberazione dalle sovrastrutture, abbandono del personaggio.
A conti fatti, il pezzo parla proprio di questo, della felicità.
Al singolo si accompagna anche un videoclip. Ce ne vuoi parlare?
L’idea del videoclip segue pari pari l’idea del pezzo, come spiegata poco sopra, addirittura accentuando l’aspetto narrativo.
In particolare si distinguono tre ‘momenti’ del protagonista: le scene della scrittura, che fanno da collante lungo tutto il video; il vagabondaggio nella città, che corrisponde allo spaesamento; il momento centrale, quando il palcoscenico cade e si abbandona il personaggio, lasciando spazio alla serenità.
Tale distacco l’abbiamo creato anche a livello cromatico: si può notare infatti che il video prende i colori solo dalla parte centrale in poi, in modo da valorizzare il concetto di ‘liberazione’.
In tal senso, devo ringraziare RKH studio di Torino, per le riprese in città, e i miei carissimi amici e collaboratori Luca Piludu e Riccardo Fabris per quelle in montagna. Date un’occhiata ai loro lavori sui social, meritano!
Nel tuo percorso artistico, quanto consideri fondamentale la ricerca e la sperimentazione di nuove sonorità?
Credo che ad un certo punto dell’attività artistica, la ricerca di nuove sonorità si configuri più come una necessità che come una scelta.
Ogni artista è legato ad una propria ‘comfort zone’, un insieme di caratteristiche e di approcci che rappresenta il nucleo fondamentale della propria arte, la materia prima della sua espressione; tuttavia, è normale che la noia sopraggiunga, risvegliando così la necessità di rinnovarsi anche a fronte di un pubblico bisognoso di varietà e di ‘rinfresco’.
Certo, quello da non fare è snaturarsi; inserirsi all’interno di nuovi ambienti sonori mantenendo le proprie caratteristiche fondamentali, può invece riservare scoperte inattese e piacevoli, e aprire porte inaspettate.
Qual è l’insegnamento più significativo che hai appreso finora attraverso la tua esperienza musicale?
Che bisogna circondarsi di persone fidate e affini, soprattutto a livello umano, che credano nel progetto e apprezzino la mia musica.
La bravura e la tecnica, sono elementi passeggeri e molto poco utili agli scopi dell’artista: la cosa fondamentale è rapportarsi con figure che viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda, affinché l’espressione artistica ne benefici al massimo.
La coesione umana è il motore principale dell’arte.
Ci sono anticipazioni o novità che desideri condividere in anteprima con i nostri lettori riguardo ai tuoi prossimi progetti?
Al momento mi sto prendendo una pausa. E’ appena uscita questo videoclip, e voglio lasciarlo maturare a dovere prima di prodigarmi in altro.
Posso tuttavia anticipare che è nelle mie intenzioni far uscire un inedito questo autunno: un pezzo scritto di recente ma a cui tengo molto, e che probabilmente verrà inserito nel futuro secondo album, al quale sto già lavorando.
Pertanto, rimanete connessi!
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