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di Emanuela Mari

Amy Winehouse: oltre dieci anni dalla sua scomparsa, eppure più viva e presente che mai nel mondo musicale internazionale.

Lo stile di Amy Winehouse, la sua voce, la sua personalità artistica anticonformista, l’hanno resa immortale come  regina del blues moderno, una delle artiste più rappresentative di questo difficile XXI secolo. Amy ci ha lasciato all’età di ventisette anni, unendo tristemente il suo nome al cosiddetto “Club 27”  di cui facevano già parte i musicisti Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain. Tutti finiti in tragiche circostanze di cui, in un modo o nell’altro, la droga fu direttamente o indirettamente la causa.

Amy aveva una personalità tanto fragile quanto prepotentemente forte. I suoi problemi affettivi la portarono a vivere relazioni fallimentari e, per contro, a rifugiarsi prima nel cibo (anoressia e bulimia che la accompagnarono tutta la vita) e poi nell’alcool e droghe, dalla cui dipendenza non riuscì mai a liberarsi.

La sua parabola nel mondo del rock è stata rapidissima. Dopo alcuni successi strepitosi sia nelle vendite che nei concerti live, le sue performance divennero sempre più scadenti, a volte persino indecorose e imbarazzanti… fino al tragico, sconvolgente epilogo. 

La ricordiamo affettuosamente con quel suo look “fifties style”, quell’eye liner così marcato e troppo all’in su”, quei capelli  raccolti in alto e stranamente  démodé  ma inequivocabilmente suoi.  A questo proposito Amy diceva “Più mi sento insicura, più i miei capelli crescono in altezza”. E poi gli accessori d’ispirazione “Rockabilly”. Non a caso  il soggetto del suo primo tatuaggio fu proprio Betty Boop! Tutto questo coronato da un talento straordinario che l’ha resa quello che oggi si definisce “un mito”.

Amy Winehouse possedeva una voce assai duttile, personalissima, un po’ nasale. Ascoltarla mi ricorda a tratti  la grande Billie Holiday, anche lei vittima di una vita per la maggior parte penosa e sfortunatissima.

La voce di Amy aveva molte sfumature. Nei toni bassi emergeva un timbro scuro e corposo, capace di emozionare profondamente. Il passaggio tra i vari registri era omogeneo, pur se in quelli più acuti la voce perdeva spessore. La sua naturalezza e immediatezza nel canto le consentivano di comunicare in modo diretto ed emotivo col pubblico. Possedeva una notevole attitudine innata, accompagnata da una grande tecnica naturale, tutte doti distintive di chi nasce, per natura, artista.

La sua infanzia fu travagliata, segnata da un tentativo di suicidio a soli nove anni a causa della separazione dei genitori. Fu ammessa giovanissima alla prestigiosa “Sylvia Young Theatre School”. Tuttavia la scuola inglese, pur riconoscendo le sue enormi potenzialità, decise di cacciarla per essersi fatta un piercing al naso e per “generale svogliatezza”.

Al di là della cronaca che più o meno tutti conosciamo, direi di ricordarla attraverso alcuni (pochi) dei  suoi brani maggiormente significativi (non in ordine di uscita) nei quali meglio ha raccontato il suo profondo interiore.

Love is a losing game: E’ il brano che forse meglio rappresenta quello sguardo di amara disillusione negli occhi, specchio esterno del suo cuore spezzato.  Qui c’è tutta la disperazione di una donna che ha creduto troppo all’amore.

Stronger than me: Ancora amore e delusione come fulcro del testo. Si tratta del racconto di una storia  piena di problemi, in cui lui, invece di prendersi cura della propria compagna, si atteggia in modo infantile e narcisistico, mentre lei si lamenta dicendo “ma non dovresti essere tu l’uomo?”

Rehab : E’ il brano che ha decretato il suo successo internazionale. Qui Amy racconta il suo categorico rifiuto di accettare un percorso riabilitativo per guarire dalla dipendenza da droghe e alcool.

Viene da pensare che fosse davvero vittima di un tragico e ineluttabile destino!

Back to black: Un testo inquietante che scava nel profondo della sua anima, e che racconta i suoi “mostri” interiori. “I died a hundred times”, canta la Winehouse in questa splendida canzone, sicuramente la più celebre.

Oggi rivedere il video clip di “Back to black”   lascia turbati. Un presagio di morte, come spesso nella vita degli artisti è accaduto e accade! La realizzazione in bianco e nero, l’atmosfera onirica, il pugno di terra gettato sulla teca interrata, lei che se ne va…Una tragica, annunciata partecipazione alla propria, ultima, cerimonia!

E mentre il tuo infinito pubblico ti applaude oggi come ieri, risuonano ancora le note di “So far away” di Carole King, la tua canzone preferita, eseguita durante “quella” cerimonia. Sei andata così lontano, Amy…

Ma i tuoi occhi truccati di bimba sognante e sperduta, la tua figura esile e traballante sul palco, la tua voce proveniente direttamente dalla tua anima, ti renderanno perpetuamente presente in mezzo a noi.